Elle, di Lo Thivolle

Il mediometraggio francese, premiato come miglior film al Laceno D’oro 2022, si interroga delicatamente sull’amore schiudendo differenti pertugi di introspezione, sia fisici che metaforici

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La macchina da presa si apre un varco, scruta e trema, tormentata dal dubbio. A guidarla, fusi nel “trucco” d’una soggettiva, sono sguardo e voce di un giovane uomo celato ai nostri occhi.

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Non è il fascino di un mistero insoluto a governare il calmo dispiegarsi di Elle, mediometraggio francese di Lo Thivolle, premiato come miglior film della 47esima edizione del Laceno d’oro International Film Festival di Avellino. Quanto piuttosto, per sottrarre la parola ai giurati, una particolare “sensibilità nel saper evocare […] anche e soprattutto inquietudini universali”. Le medesime racchiuse nell’attesa, contemplativa, di un incontro.
Qual è il volto dell’amore? Si domanda Thivolle. È il viso della donna “della porta accanto” – o antistante – che affolla i pensieri del protagonista? O una sua espressione altra, trasposizione ideale e idealizzata dei desideri dell’amante? È, insomma, la persona in sé, vera, l’oggetto delle brame di un innamorato o la di lei immagine pirandelliana che quest’ultimo elabora mentalmente e in totale autonomia immaginifica?
Il regista prova a dirimere questo arzigogolato scioglilingua filosofico schiudendo – fisicamente e metaforicamente – differenti pertugi di introspezione; quelle finestre che affollano il panorama d’interni di Elle e che, pur consapevolmente pregne di una valenza storico-cinematografica insita nell’elemento architettonico stesso, tendono a distaccarsi dalle sfumature mistery alla Hitchcock e dai toni nostalgico-sentimentali di Welles (in apertura di Quarto Potere) e Edwards (la sequenza con Moon River in Colazione da Tiffany), per acquisire una inconsueta profondità e farsi habitat progressivi del rapporto umano narrato.
Thivolle procede per step successivi. La finestra del romantico “voyeur” lascia prima il posto alla sua corrispettiva e, in un secondo momento, alle persiane di una nuova abitazione. In un gioco di manifestazioni architettoniche (dis)simili che è teatro di un’evoluzione umano-amorosa capace di riflettere scelte di soluzioni visive e di messa in scena eclettiche. Dal racconto intimo e diaristico – di eco “wisemaniano” (Un Couple) – in absentia, allo sguardo in macchina del protagonista; fino al chiarimento ultimo, travestito da intervista amatoriale.
In un ping pong concettuale a tratti amaro, ma estremamente delicato, mai vittima di un’intellettualità sterile; privo della presunzione di risolutività, ma ugualmente salace, provocatorio e, soprattutto, sincero: “io avevo paura della realtà”.
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