Eles trasportan a Morte, di Helena Girón e Samuel M. Delgado

Tra i film premiati alla Settimana della Critica di #Venezia78, continua la nuova via visionaria alla rievocazione coloniale tra antropologia magica e cinema di poesia

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La cultura non è, né potrà mai essere un’arma o un metodo di mobilitazione di gruppo contro la dominazione straniera. È molto più di questo. È nella coscienza concreta della realtà locale, specialmente di quella culturale, che si basa la scelta, la strutturazione e lo sviluppo dei metodi più adeguati alla lotta. Amílcar Cabral

A trasportare la morte, in accordo con quanto dice utilizzando altre modalità Raoul Peck nella sua ultima, abissale Exterminate all the brutes, sono le caravelle dei conquistadores, in questo caso precisamente quelle di Cristoforo Colombo, 1492. Ma se la docuserie del regista di I am not your negro si lega in maniera esplicita alle spinte propulsive di cancel culture e statue degli invasori da abbattere, il discorso di Girón e Delgado assume invece quella chiave espressiva legata al versante mistico della lettura antropologica, e che oggi va accomunando tutta una via arthouse al pensiero post-colonialista, dal Portogallo alla Galizia, da Serpentario a Lùa Vermella. I due registi poco più che trentenni hanno coinvolto nella loro opera prima anche altri protagonisti della “scena”, come Manuel Rivas e José Alayón, registi qui impegnati rispettivamente al montaggio e alla fotografia – e il film ha portato coerentemente a casa la menzione al miglior contributo tecnico di questa Settimana della Critica.
La filiazione evidente è dai grandi visionari che su queste rievocazioni magiche hanno costruito un immaginario intero, da De Oliveira a Botelho via Bressane, ma questa generazione amplia gli orizzonti del dispositivo con una consapevolezza “espansa” che li lega ad esperienze anche extra-cinematografiche (come amiamo ripetere, c’è una chiara connessione con la nuova scena musicale di questi luoghi, si ascolti ad esempio il bellissimo Recognition della musicista avant Sara Serpa) e ai panels della videoarte – questo del formato “installativo” è uno dei linguaggi più frequentati in tutta Venezia 78, da Atlantide di Ancarani a Reflection di Vasyanovych.

Eles trasportan a Morte si inserisce su queste frequenze apertamente allucinatorie e, giocando con il footage e le rime interne del cinema di poesia, racconta l’avventura di un gruppo di marinai scavezzacollo che ruba una vela al temutissimo Colombo sbarcato alle Canarie, perdendosi tra rocce e vegetazione nella fuga (un impianto non troppo lontano dalla seconda sezione di Re Granchio, un altro titolo recente che dialoga con questi exploit). In un’epoca di movimento continuo, non è forse casuale che questo cinema brami la deriva necessaria verso un’immobilità sacrale, quasi votiva: la seconda linea di racconto è puramente demartiniana, la messinscena del rituale di un guaritore ad una donna morente, accompagnata dalla sorella. La coda ai due movimenti è sublime: se agli uomini è destinato il viaggio fisico verso il Nuovo Mondo inospitale, le donne regnano invece sui segreti di quello Vecchio, e sui portali interiori nascosti che celano dimensioni ancestrali e culti di connessione con le divinità di Terra e natura.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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