Emilia Pérez, di Jacques Audiard
In modo sorprendente, il regista francese ridisegna i lineamenti del suo cinema e riarticola le dinamiche del musical, piegandole alle logiche del thriller. CANNES77. Concorso.
Con Emilia Pérez, il cinema di Jacques Audiard cambia pelle. Anche se il cuore profondo delle sue storie sembra resistere intatto. Perché si tratta ancora una volta di un affare di ruggine e ossa, di bande criminali, di leggi del cuore e del ferro, di sangue sparso tra le profezie della metropoli. Ma stavolta tutto è innestato in una forma musical sorprendente. Che si nutre degli umori di una Città del Messico caotica, densa, delirante, vita sospesa a un passo dall’inferno.
Del resto, questa è una storia di cambiamenti. Emilia Pérez è la nuova identità di uno spietato boss del narcotraffico, Manitas, che per anni ha coltivato il desiderio di diventare donna, andando incontro alla sua vera natura. Ma la faccenda è delicata, non solo per questioni chirurgiche. Si tratta di cambiare radicalmente vita, dopo aver costruito un impero fondato sulla droga e sul terrore. E perciò, per gestire in gran segreto il passaggio, Manitas si affida a una giovane avvocatessa, Rita, che sogna un’affermazione dopo anni di gavetta. Quando, anni dopo, Emilia ricontatta Rita, per forza di cose tra le due donne si stabilisce un legame speciale. Che lascia intravedere la possibilità di un’espiazione dai peccati delle vite precedenti. Ma che deve fare comunque i conti con i legami e i pesi del passato.
Audiard non solo ridisegna i lineamenti del suo cinema, ma riarticola le dinamiche del musical, piegandole alle logiche del thriller. E passa in un baleno dai toni della commedia al dramma incandescente, fino ad arrivare alla tragedia. Certo, il rischio è quello di un gioco pretestuoso, che rischia di incepparsi negli ingranaggi del meccanismo. Ma, quasi in un modo segreto, Audiard riesce a trovare la quadratura del cerchio. Allontanandosi dagli stereotipi e dalle funzioni, costruisce attorno all’attrice transgender Karla Sofía Gascón, a Zoe Saldaña e Selena Gomez, tre personaggi pieni, vivi nelle loro contraddizioni. Che, in modo diverso, cercano nello slancio del cuore un modo per liberarsi dalle loro gabbie. Dà forma, ritmo e senso alle canzoni scritte da Camille e agli accompagnamenti musicali di Clément Ducol, fino a restituire momenti di straordinaria energia e intensità. Come nella scena della bambina che ritrova nella “zia” Emilia gli odori del padre. O quella in cui Emilia scopre la sua Epifanìa, il suo nuovo amore. Nella girandola di luci, colori, suoni, nel continuo farsi largo, accordandosi al movimento della folla, Audiard sembra inseguire l’esatto contraltare del bianco e nero, delle architetture funzionali e delle separate solitudini del precedente Parigi, 13arr. A riprova di come al suo cinema non sia mai mancato il coraggio, cerca il punto di trasformazione innanzitutto nella superficie. Ma non lascia che lo spettacolo alteri sostanza. Perché, come al solito, Audiard si muove tra la durezza e la vertigine emotiva dei sentimenti. Consapevole dei limiti del passato e della natura degli istinti, ma aperto al nuovo orizzonte dei desideri.