Emmanuel Lubezki. Il movimento è la luce

La cosa migliore di Birdman è questo genio del cinema contemporaneo. Il direttore della fotografia messicano che ha cambiato l’immagine del Terzo Millennio e il concetto di pianosequenza.

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------

Ai più quando lo scorso anno venne assegnato l’Oscar per la fotografia a Emmanuel Lubezki detto “Chivo” parve un riconoscimento a dir poco sacrosanto. Per vincere il suo primo meritatissimo Academy Awards il direttore della fotografia messicano (classe 1964) ha dovuto inventarsi Gravity e sostanzialmente rivoluzionare la storia del cinema in ambito digitale, pirotecnico e 3D. A oggi, alla vigilia di una possibile seconda statuetta per il sopravvalutato Birdman, l’opera di Lubezki è già entrata nella leggenda. Come lo è stata quella di Greg Toland, Gordon Willis, Vittorio Storaro: maestri dell’immagine, spesso misconosciuti coautori di grandi capolavori che hanno cambiato il tempo e il modo di guardare il cinema. Chissà se davvero un giorno non sarà il caso di riscriverne la storia, facendone una tutta alternativa esclusivamente dedicata alle cosidette maestranze. Cosa sarebbe stato, ad esempio, del cinema di Spielberg senza l’occhio del polacco Janusz Kaminski o delle musiche di John Williams? O dei film di Scorsese senza il montaggio di Thelma Schoonmaker? Nel caso di Lubezki ci si chiede davvero se non sia lui il grande Autore occulto di questo Terzo Millennio.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

L’esordio a Hollywood avviene con un cult degli anni Novanta e del cinema indie: quel Giovani carini e disoccupati che Lubezki filma immortalando la giovinezza nell’estetica dell’ MTV Generation. Per dieci anni lo copieranno tutti. Poi arriva il momento di sperimentare sul colore e sulle sfumature espressioniste. L’oscurità gotica del burtoniano Il mistero di Sleepy Hollow  integra gli accesi cromatismi latini de Il profumo del mosto selvatico e Paradiso Perduto, mentre nello straordinario Alì di Michael Mann la ricostruzione d’epoca degli anni Sessanta e Settanta arriva a sposare il digitale per la prima volta nella filmografia del regista

americano.

Di sicuro nel suo caso è quasi impossibile slegare la carriera dall’opera del connazionale Alfonso Cuaròn
. La loro infatti è una collaborazione trentennale che risale ai primissimi lavori negli anni Ottanta e che arriva alla sublimazione di Gravity, delineando un percorso artistico sempre più ambizioso e tecnicamente elaborato. Un connubio che, come scriveva Sergio Sozzo a proposito di La piccola principessa, “va oltre all’affinità estetica, all’empatia di sguardo: la decennale collaborazione tra i due autori è soprattutto una delle più chiare ed emblematiche esternazioni della dialettica forma-contenuto“.

In tal senso ancor prima di Gravity, il vero capolavoro del duo è proprio I figli degli uomini, ovvero il film della svolta/spettacolo, della superficie illuminata dal movimento, della macchina da presa come veicolo truccato, testimonianza quasi arrogante nella sua perfezione di un confine indiscernibile tra realismo e artificio. Il piano sequenza dell’agguato all’interno della macchina resta forse la sequenza action più impossibile del decennio. Da lì si tracciano long take impressionanti ed elaborati, ossessionati più dalla registrazione in diretta che dalla cristallizzazione del tempo. La necessità principale sembra essere quella di attraversare lo spazio-set come fosse una sonda invisibile. Il movimento anche quando è impercettibile insegue però una “sua” luce, nella missione (quasi) impossibile di raggiungere l’anima attraverso la tecnica.

Del resto Lubezki sa come filmare il sacro e il mistero come pochi altri. E’ infatti il demiurgo visivo di Terrence Malick a partire da The New World fino all’ultimo Knight of Cups. Attraverso le sue lenti, i dettagli e i riflessi sa ritrovare la purezza di un mondo perduto e quella preistorica della creazione in TheTree of Life. Con Malick Lubezki prova a fotografare mondi (in)visibili, traiettorie crepuscolari, ieratiche. Le immagini diventano il controcampo alla voce dell’Uomo. Forse la linea comune di tutta la sua opera diventa inseguire una terza dimensione, la spiritualità di un contatto tra l’uomo e il Creato, un divenire continuo tra morte e rinascita. Un movimento appunto. In cerca di luce.

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array