Equals, di Drake Doremus

Sorta di melodramma terminale anni ’30 che si sovrappone con l’universo di Andrew Niccol, il film di Doremus riesce a creare una specie di ipnosi in un universo apparentemente freddo. Da Venezia72

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Si potrebbe sentire l’influenza di Ridley Scott, qui nelle vesti di produttore esecutivo, nel sesto lungometraggio di Drake Doremus, uno dei giovani autori più amati dalla critica statunitense e spesso elogiato da Variety e The Hollywood Reporter. Nella presenza di quei fasci bianchi e blu ghiaccio che potrebbero arrivare anche da Prometheus, Doremus costruisce già cromaticamente il proprio film del futuro più che ambientato nel futuro, anche geometricamente definito nel modo di filmare lo spazio. Forse però si tratta solo di una suggestione, perché Doremus nel personale percorso sull’instabilità sentimentale che spesso caratterizza il suo cinema stavolta sceglie una strada rischiosa, anche difficile, in cui si potrebbe rintracciare un senso di narcisismo autoriale. Il regista però ha il merito di non spingersi al di là di quello che vuole mostrare, magari con metafore in cui l’universo politico potrebbe essere un modo per parlare delle forme di controllo che subiamo nella nostra quotidianità. Poteva essere una lettura. A noi di questo discorso, in questo contesto, non ce ne importerebbe nulla. Per fortuna, sembra che sia lo stesso anche per Doremus.

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In una società prossima chiamata “il Collettivo”, dove gli uomini e le donne sono stati abituati a vivere pacificamente ma senza emozioni, alcuni individui non sono riusciti ad adattarsi completamente. Per proteggere la comunità, sono stati quindi mandati in una struttura correttiva. Tra loro ci sono anche Nia (Kristen Stewart) e Silas (Nicholas Hoult) che scoprono di essere reciprocamente attratti. Inizialmente cercano di reprimere ciò che provano. Ma non ce la fanno.
Scritto da Nathan Parker (in cui sembra riprendere anche tracce di Moon di Duncan Jones di cui ha scritto la sceneggiatura), potrebbe quasi essere la versione fantascientifica di Like Crazy. Con tutte le declinazioni sentimentali, ma in un universo apparentemente freddo che si frantuma nel momento in cui i due protagonisti si impossessano dell’ambiente. Da automi, nel modo di vestire, di muoversi, di mangiare, sono proprio Silas e Nia che s’impradoniscono di quello spazio che li tiene prigionieri. Soprattutto nella seconda parte la macchina da presa sta addosso ai due protagonisti che a tratti sembrano quasi delle ombre, Doremus gli nega lo sfondo, q

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kristen stewart in equalsuella profondità che invece aveva caratterizzato quel rigido labirinto. I primi contatti fisici sono come un brivido. Anche se Equals stavolta sa fare sentire meglio l’ansia della passione, pur con dei rimandi onirici (il frammento del sogno) che possono apparire troppo espliciti. Doremus però riesce a creare una specie di ipnosi anche con quei giochetti facili ma efficaci della musica che entra dentro i dialoghi e si sovrappone.

Potrebbe essere una sorta di melodramma terminale anni ’30 che si sovrappone con l’universo di Andrew Niccol. C’è la necessità di rompere le pareti di uno spazio definito (The Truman Show), lo scarto tra scienza e natura (Gattaca) e anche un tempo nascosto che sembra regolare gli stadi dell’esistenza (In Time). E Doremus lascia emerere anche quelle tracce della ‘maladie d’amour’ nel momento in cui una sorprendente Kristen Stewart si butta contro Nicholas Hoult, forse uno dei punti deboli del film, troppo preoccupato a non andare fuori parte ed è per questo che non ha rischiato nulla. Lo ha fatto invece Doremus, molto più di quello che può apparire. In un film dove si è più volte smarrito ma che riesce ad avere una sua temperatura. Passa dal freddo al caldo. Ci si congela, ci si brucia. Ma (s)muove.

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