Ettore Scola, il gusto della realtà

Ettore Scola era nato nel 1931, ha lavorato nel cinema fin da giovanissimo e per tutta la vita con i piedi e le mani piantati nella contemporaneità, raccontando a tutti l’Italia che vedeva.

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Uso la macchina da presa come lo scrittore la matita o la penna …
Ettore Scola

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Era nato il 10 maggio 1931 a Trevico in provincia di Avellino luogo di nascita reso noto dai uno dei suoi primi film da regista. Ettore Scola ha lasciato ora il mondo del cinema cui era legato da un numero di anni che a guardarli oggi sembrano infiniti. Aveva appena sedici anni quando disegnatore per un giornale satirico venne incaricato dal suo direttore di intervistare Carlo Dapporto. Alla sua domanda: Lei perché recita? Dapporto gli rispose: Giovanotto, esca! Con il cinema di Ettore Scola ci siamo fatti le ossa nelle sale delle nostre periferie, tra le sedie scomode dei cineclub con il ronzio della macchina da proiezione giusto alle spalle. Perché abbiamo sempre sentito Ettore Scola, nonostante qualche divergenza che appartiene alla dialettica (della) politica, come uno di noi. Non ricordiamo più, oggi, se all’epoca sapevamo o meno che i film che vedevamo fossero scritti da lui, sappiamo e sapevamo che ci innamoravamo di quelle storie che sentivamo familiari e vicine. Non basterebbe lo spazio disponibile per elencare il suo cinema, quello scritto e quello girato, un lunghissimo fiume di immagini che hanno raccontato, quasi sempre con i toni leggeri della commedia, i sussulti di una società di cui Scola si sentiva parte integrante. Nel suo lavoro ha riversato queste attenzioni verso l’umanità dei suoi personaggi, la sua passione politica, la sua attenzione di intellettuale discreto e mai aggressivo. Il suo è stato un cinema che ha sempre posto il carattere umano al centro assoluto della scena per poterlo liberamente raccontare. I suoi film restano assolutamente radicati tra le pieghe dei mutamenti e degli scontri sociali che hanno fatto la cronaca e poi la storia dell’Italia post bellica. Scola, da intellettuale quale era e da erede, seppure con una sua originale inflessione culturale, di Pasolini, sembrava percepire in anticipo questi sussulti sociali, quel “comune sentire” che solo orecchie e occhi finissimi possono avvertire. Il suo cinema, non solo quello da

Permette? Rocco Papaleo, 1971

Permette? Rocco Papaleo, 1971

regista, ma anche quello realizzato come soggettista o sceneggiatore, ne ha amplificato gli effetti. Il suo cinema sembrava nutrirsi davvero della realtà e questa stessa si faceva spettacolo, spettacolo umano, forse perfino sociologia d’autore, senza il cinismo costante di Monicelli. Un atteggiamento, questo che solo occasionalmente il suo racconto sfiorava o permeava nella forte coerenza delle sue storie (Brutti, sporchi e cattivi è forse insieme il suo film più pessimista e al contempo più cinico). La sua intenzione di comporre una mappa di un’Italia non segreta e non misteriosa, ma a portata di mano di tutti, si accompagnava alla voglia di mettere in scena storie che coinvolgessero numerosi personaggi, tanti nomi da ricordare, film affollati per tracciare un ritratto a tutto tondo di caratteri e modi di essere di un’Italia comune e da mercato popolare (La famiglia, Brutti sporchi e cattivi, Ballando ballando, La terrazza…). La sua attenzione artistica sapeva mettere in scena con una rara e autentica sincerità questo sobbollire di sentimenti e storie

Ettore Scola

Ettore Scola

raccontando ad esempio, anche attraverso una complessa storia d’amore e con finissima sensibilità, il passaggio politico del Partito Comunista all’alba della sua dissoluzione nel commovente Mario, Maria e Mario (1993), una storia che sembra stretta, come già nel suo titolo, dall’alternarsi di nomi e vicende che ciclicamente si ripetono.
Ettore Scola è stato un personaggio semplice nella sua narrazione sempre autoriale, ma senza intellettualismi complicati, avendo praticato e creduto nella commedia come struttura espressiva irrinunciabile per la sua poetica. Ma tutto questo è stato sempre messo in scena con estrema accortezza e talmente lungo il suo lavoro e articolate le sue riflessioni, da renderlo anche un autore complesso, un pezzo, ora davvero mancante, nella storia del cinema italiano, tanta parte egli ne ha coperto in tutti questi anni e, per proprietà transitiva, anche del cinema mondiale che

Ballando ballando, 1983

Ballando ballando, 1983

altro non è che la somma dei migliori prodotti visibili.
Mettere in immagini ciò che vedo intorno a me, è una cosa che mi esalta … c’è il gusto della realtà. Non sono uno che filma la propria immaginazione, i propri sogni, le proprie fesserie e fumisterie. Mi piace parlare della realtà perché è ciò che amo di più. Con Ballando ballando del 1983 è riuscito, a ritrarre la realtà che magicamente e incessantemente muta sotto i nostri occhi. Un film oggi dimenticato, lontano nel tempo eppure così evocativo e poetico nella sua grandissima voglia di farsi epica del trascorrere delle generazioni. Un affresco preciso della storia, che coglie al contempo la magia dello spettacolo e il senso di una realtà storicamente complessa. Uno scorrere della realtà che diventa sfondo dello sviluppo di una trama tanto infinitamente aperta che solo il cinema riesce a sintetizzare, ma solo con un salto davvero pindarico nato dalla genialità assoluta di un artista che sa

La famiglia, 1987

La famiglia, 1987

spaziare con la sua immaginazione. Scola con quel film sembra stringere in un pugno anni e anni di mutamento dei costumi spiegando nel ballo, come testimonianza di una socialità divertita e nella balera luogo di amori e gelosie, tradimenti e incontri, quel volo artistico che frantuma il concetto di passato e presente per farne storia sempre contemporanea. Un film che è paradigma della sua poetica che ha trovato anche in altre occasioni la possibilità di esprimere il flusso del tempo attraverso le storie dei personaggi che ne hanno affollato il suo inesorabile trascorrere. La famiglia del 1987 è un tentativo, forse solo in parte riuscito, di offrire un segno quasi testimoniale di una vita che progressivamente muta. La famiglia come simbolo essenziale e primigenio di una evoluzione dei tempi. Sulla stessa linea narrativa stanno le altre famiglie del cinema di Scola, quella di Giacinto in Brutti, sporchi e cattivi (1976), riflessione che sembra

Una giornata particolare, 1977

Una giornata particolare, 1977

suggellare i ragionamenti dell’ultimo Pasolini. Ma c’è anche la famiglia di Antonietta abbrutita da un fascismo familiare forse del tutto paragonabile a quel regime che adunava gli uomini d’arme escludendo chi della virilità mascolina non faceva uso quotidiano in quel capolavoro sorprendente che è stato Una giornata particolare (1977), titolo emblematico di una poetica che badava allo spessore psicologico dei personaggi. Una carrellata infinita su una realtà contigua a quella del reale che sullo schermo si voleva creare e ad una credibilità indiscutibile dei personaggi, tra le bellezze sul crinale di una vena di sfiorita avvenenza per Sofia Loren, ma ancora desiderabile nel fascino discreto di uno smarrimento di donna del popolo senza mezzi culturali ai quali appellarsi, vero uccellino che sembra fuggito dalla gabbia, ma rimesso subito dentro come accade nell’episodio chiave del film e tra la maturità di Marcello Mastroianni personaggio completo che riesce ad amare la sua Antonietta come nessuno mai aveva finora fatto. Un film che ricorda l’altra storia breve e intensissima tutta tra i

Brutti, sporchi e cattivi, 1976

Brutti, sporchi e cattivi, 1976

semplici paesaggi di Madison County, sul filo di una narrazione altrettanto intensa e ricca da non potere essere stretta in poche righe.
A guardarla oggi la carriera complessiva di Scola, come quella di tutti i grandi cineasti, scrittori e specialisti del cinema che hanno contribuito a farne la storia e talvolta pure a farlo grande, è davvero inafferrabile nel suo multiforme atteggiarsi e se la sua attività di sceneggiatore ebbe inizio nel 1952, quando per la prima volta, fu accreditato come sceneggiatore nel film Canzoni di mezzo secolo di Domenico Paolella, ad appena 21 anni, ci si rende conto del cammino di Scola nel grande paesaggio del cinema italiano, tra scritture di personaggi perfettamente sordiani: Accadde al Commissariato (1954), Un americano a Roma (1954), Lo scapolo (1955), Il conte Max (1957), Il marito (1958) e film che hanno segnato cesure precise assurgendo ad icone di un preciso volto di un’italianità cialtrona, ma profondamente sincera: Il

Mario, Maria e Mario, 1993

Mario, Maria e Mario, 1993

sorpasso (1962) forse su tutti e nello stesso anno anche Anni ruggenti. Film tutti, tranne Un americano a Roma, insieme a molti altri, nati dal lungo sodalizio con Ruggero Maccari, personaggio che dal dietro le quinte ha guidato l’evolversi della commedia italiana e più in generale del nostro cinema collaborando soprattutto con Scola fino a La famiglia, proprio qualche anno prima della sua scomparsa. Ma la collaborazione di Scola non fu solo con Maccari e poco ricordata è forse quella con Antonio Pietrangeli per il quale scrisse nove lungometraggi sugli undici che il regista romano riuscì a girare prima della sua prematura scomparsa.
È quindi vero che raccontare il cinema di Ettore Scola diventa un’attività simile a quella di

Il mondo nuovo, 1982

Il mondo nuovo, 1982

un compendio del cinema italiano, una lunga sequenza di nomi e personaggi, di titoli che inseguono la memoria, nello sviluppo di un ricordo che si ramifica nel suo movimento amplificandone i significati e il valore complessivo. Quella storia così immanente nel suo cinema che ogni tanto sembrava improvvisamente irrompere commista alla fantasia come nell’originale Il mondo nuovo (1982), tra l’illuminismo rivoluzionario dei personaggi coinvolti nella trama, Scola più che di storia, sembra parlare della libertà e vivacità dell’intelligenza racchiudendo come spesso accade nei suoi fil, i suoi protagonisti in uno spazio angusto dove il confronto è necessaria conseguenza. Diceva infatti: La storia in quanto tale non mi interessa … ciò che interessa è, soprattutto, la contemporaneità della storia: L’uomo è contemporaneo a se stesso.

Il viaggio di Capitan Fracassa, 1990

Il viaggio di Capitan Fracassa, 1990

Ma parlare di Ettore Scola è soprattutto parlare della nostra memoria, riguardarci nello specchio di una storia dell’emigrazione nel volto smarrito di Fortunato Santospirito, dimesso protagonista del militante, ma efficace, Trevico-Torino, viaggio nel Fiat-Nam (1971), oppure in quello ingenuo e inconsapevole di Mastroianni che in Permette? Rocco Papaleo (1971) offre un’altra caratterizzazione drammaticamente divertente dell’emigrato in una commedia amara paragonabile a Pane e cioccolata di Brusati. Ci riconosciamo in quella disillusione politica, perfino anticipata che è così bene rappresentata in C’eravamo tanto amati (1974) oppure in quella fine di un’epoca che colpisce anche il cinema nel dimesso Splendor (1988), secondo film dei quattro che segnarono un ultimo sodalizio

Ettore Scola

Ettore Scola

artistico tra quelli di Scola, quello con Massimo Troisi interprete anche di Che ora è? (1989) e soprattutto di Il Viaggio di Capitan Fracassa (1990) esempio non facilmente replicabile di un film che nella sua palese falsità rappresentativa raggiunge il cuore della verità forse perché riesce a raccontare la fatica artigianale dalla quale nasce. E da ultimo quale omaggio postumo ad un grande regista, in fondo lontano dal suo sguardo sul mondo, ma vicino quanto a poetica sottesa alla trasposizione cinematografica, arriva nel 2013 Che strano chiamarsi Federico, omaggio ad un grande regista con il quale Scola aveva condiviso molte passioni e soprattutto il gusto satirico delle sue prime esperienze come disegnatore.
Ettore Scola è stato un uomo di cinema che è riuscito fare il suo lavoro di regista sempre con le mani e con i piedi ben piantati a terra, guardando dritto negli occhi la realtà portandola sullo schermo, sempre con grande sincerità, sempre con grande desiderio di essere compreso e da qui la necessità di questo cinema popolare fatto ancora di schermi sghembi, di proiettori che ronzano, di sedie di paglia, di un’Italia che sembra sparire, ma di cui resta la voglia. Quella voglia e quel desiderio che ha attratto gli occhi di migliaia di spettatori alle sue storie, ai suoi personaggi e a quel cinema così vero che da oggi in poi ci mancherà molto.

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