EURO 2020 – Ceci n’est pas une cuillère

Se il situazionista Francesco Totti avesse parlato francese avrebbe apostrofato il surrealista Mbappé parafrasando Magritte

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Se il situazionista Francesco Totti avesse parlato francese avrebbe apostrofato il surrealista Mbappé parafrasando Magritte. Ventuno anni fa un rigore a cucchiaio del fuoriclasse romano uccellava il portiere olandese nella semifinale del campionato europeo, perso poi in finale proprio contro la Francia ai supplementari con il golden goal. Stavolta però “il tradimento delle immagini”, in tutte le variazione sul tema, ha beccato il giocatore più rappresentativo dei galletti, colpevole di aver sbagliato il rigore decisivo contro la Svizzera. Se guardiamo attentamente il fermo immagine del rigore, dalla prospettiva frontale, Mbappé calcia creando una scollatura fra la realtà e l’immagine e fra l’immagine e l’oggetto dell’immagine. È un rigore ma non sembra un rigore, il paradosso logico-linguistico sconvolge le nostre tranquille aspettative teoriche e visive.

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Non si tratta solo di realtà aumentata, ma è qualcosa di diverso, che sconvolge il legame indissolubile tra verosimiglianza e rappresentazione, il dogma assoluto per cui fermare l’attimo è affermare. Il fermo immagine non è affermare, implica un’attenzione maggiore del normale, implica una relazione più complessa. Perché far calciare l’ultimo rigore proprio a Mbappé, gesto che non rientra certamente nelle sue specialità? A 22 anni poi… quel fermo immagine è come un enigma che agisce da stimolo intellettuale, pone una serie di problemi e riflessioni riguardanti la natura del calcio e i suoi fondamenti logici. Questo non è un rigore a cucchiaio, questo non è un rigore, è un’immagine a mezz’aria, come se stesse uscendo dalla cornice. Così sospesa l’immagine potrebbe far pensare che sia uno scherzo del destino, la legge del contrappasso scesa in terra, un’idea della mente, l’archetipo di una punizione. Ogni fermo immagine avrebbe avuto la forza di visualizzare il pensiero dei propri interpreti, ma oggi è sempre più complicato regalarsi agli altri, soprattutto per giovanissimi strapagati.

Tante camere, milioni di inquadrature, esposizione a mille, per ricevere in cambio cosa? Non certamente quello che si sperava e cioè la descrizione del pensiero, trovarsi ad imboccare i percorsi nei meandri della logica. Il bombardamento visivo, ad oggi, ha fatto per lo più solo vittime civili. Poi però, se riporti indietro il nastro di Francia-Svizzera, ad un certo punto, per incanto, c’è un’altra immagine che resta scolpita: la consueta inquadratura del tecnico della Svizzera che scova sul fondo, fuori fuoco, seduto mestamente in panchina, il piccolo grande vice di Petkovic, Antonio Manicone (cresciuto con Zeman, tanto per dire…). Una vita da mediano, nel vero senso della parola, in tutte le categorie professionistiche e, a quanto pare, la mente artefice di questo miracolo dei cantoni. Ecco, Antonio Manicone rappresenta il senso di un’irripetibile opportunità, scrostando la superficie dell’immagine, fino a spingersi alla finitudine della realtà, perché l’uomo è la sola creatura che rifiuta di essere ciò che è.

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