European Film Awards 2002: vince Pedro Almodovar

E' il regista spagnolo il trionfatore degli Oscar europei, suoi i premi come miglior regista e quello per il miglior film. Il premio alla miglior fotografia va a Pawel Edelman per “Il Pianista”. Il miglior attore è Sergio Castellitto per “L'ora di religione”. A Suleiman con il suo “Intervento divino” il premio miglior film non europeo

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E' una serata fredda a Roma, in un inverno atipico giunto un po' in ritardo rispetto alle previsioni. La luce del Teatro dell'Opera abbaglia a giorno, scatenando un tripudio cromatico che ci ricorda il glamour impazzito delle serate mondane d'oltreoceano, ma dura poco. La platea del Teatro inizia ad essere accarezzata da un flusso di luce nera che anticipa l'entrata in scena dei conduttori della serata. Appare Asia Argento e non possiamo fare a meno di ripensare al folgorante XXX, alle sue triangolazioni vorticose di uno spazio/tempo continuamente rimodellato, al suo inseguire il fantasma di un genere in perdita. E' la volta poi dell'inglese Meg Smith, un impasto assolutamente delizioso di humour espressivo e sagacia verbale, il tutto condito da un divertente impasto corporeo che lo porta ad essere il vero corpo interno/esterno rispetto alla scenografia del set, presa in prestito da quella di 8 ½ . Un set che peraltro non è un set, ma un'ipotesi di quest'ultimo, un'idea da esperire su di un piano esclusivamente percettivo. L'Italia è in gara con Bellocchio e Castellitto, d'altronde L'ora di religione è una delle opere più intense degli ultimi anni, capace di ri-essere in uno stesso tempo sguardo politico, morale, filmico, sociologico, senza far affiorare mai un-sospetto-uno di tesi, di piano da dimostrare. Ma è anche un modello di come affrontare il cinema di oggi, di come vederlo, di come viverlo. Veniamo comunque ai premi, partendo dalle prime candidature. Il premio alla miglior fotografia va a Pawel Edelman per il Pianista. Quella di Polanski è una delle cose più belle viste quest'anno, il riconoscimento ad una fotografia tutta giocata su livide intensità cromatiche, ci pare che ci stia tutto. Peccato per il lavoro fatto da Buttner per The Russian Ark di Sukorov, una vera e propria plasmazione delle componenti ottiche del filtro in cui ogni costante temporale viene in un certo senso ri-vista attraverso una continuità visiva impressionante. E' la volta del miglior sceneggiatore europeo. In lizza vi sono nomi importanti (non ultimo Kaurismaki), ma il premio non può non andare ad Almodovar per Parla con lei. L'opera del regista spagnolo è il classico esempio di un'ottima sceneggiatura che però non scavalca mai la scrittura visiva del film, realizzando una simbiosi particolarmente riuscita tra la forma accesa del quadro prospettico e la sua corrispondente seconda vita scritta. Forse avrebbe meritato qualcosa anche Kaurismaki per il suo Uomo senza passato, ma reggere l'andatura di Almodovar (soprattutto in fase di scrittura) non è mai facile. Tutto bene dunque fino a questo punto, il ritmo è abbastanza sciolto, pause non ce ne sono, pare proprio che l'aria internazionale che tira nel nostro Teatro dell'Opera faccia molto bene alla scioltezza dello spettacolo.

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Arriviamo al premio per il miglior film non europeo. C'è l'imbarazzo della scelta, con nomine che vanno da Spielberg, a Cronenberg, per poi continuare con Haines, Hanson, Miyazachi e così via. Quella di Spielberg (Minority report) è forse una delle sue opere più belle, più teoriche, eppure assolutamente sbilanciata verso un romanticismo di forme che oggi ha pochi eguali. Cronenberg con Spider ha forse toccato il vertice del suo cinema, rischiando non poco, e così via per gli altri. A vincere è Suleiman con il suo Intervento divino e in fondo non possiamo non essere soddisfatti. L'opera dell'autore palestinese è un vero e proprio sguardo di resistenza, un terribile e sublime gioco con un set attraversato da bagliori incandescenti di una presa di posizione etica e civile a dir poco toccante. Intanto sul palco scorrono vere e proprie apparizioni internazionali e non, non ultimo il nostro Roberto Benigni che, non potendo intervenire di persona, ha inviato un messaggio registrato in cui simula d'essere stato improvvisamente colto da una bufera di neve in Lapponia. Parla in inglese Roberto (come peraltro tutti durante la serata) e sembra già pronto per il lancio internazionale del suo Pinocchio, a cui auguriamo tutte le fortune possibili. Pinocchio è tutto il suo cinema, e forse anche qualcosa di più, ma è una di quelle opere da ri-vedere attraverso gli anni, con la speranza che un giorno i tanti equivoci in cui è caduta certa critica si dissolvano del tutto. Per quanto riguarda la migliore scoperta europea del 2002, viene premiato Hukkle dell'ungherese Palfim, autore di un'opera che quantomeno ci segnala vitalità di un cinema sistematicamente ignorato dalla nostra illuminata distribuzione. Arriviamo così al premio per gli attori. quello alla migliore interpretazione femminile va al composito gruppo di Otto donne e un mistero di Ozon. Sono tutte attrici di grande classe (parliamo della Huppert, delle Deneuve, della Ardant e così via) al loro massimo nel film di Ozon che comunque  troviamo tutt'altro che irresistibile. Forse un premio a Kati Outinen, interprete del grande film di Kaurismaki, sarebbe stato più giusto, se non altro come premio simbolico all'opera stessa. Il miglior attore è Sergio Castellitto per L'ora di religione e ci sembra un premio assolutamente meritato. Castellitto è interprete capace di qualsiasi cosa, basti vedere come nell'opera di Bellocchio riesce a farsi materia e spirito di un disadattamento perenne che lo pone fuori/dentro il set in cui si muove.

Arriviamo così alla glorificazione del vero vincitore della serata che è Almodovar. Suoi i premi come miglior regista europeo e quello per il miglior film. Nulla da eccepire, anche se forse un pochino di coraggio in più non avrebbe guastato. In lizza c'erano Polanski, Sukurov, Bellocchio, autori di un cinema che è sicuramente il più alto visto nella stagione passata. Bellocchio ha visto premiare il suo interprete, dunque un riconoscimento lo ha avuto sia pur indirettamente anche lui, mentre Sukurov non ha vinto nulla, e Polanski si è dovuto accontentare del premio alla fotografia. Ci sembra un po' poco per Il pianista, una rivisitazione fulminante dell'Olocausto, tutta giocata su traiettorie spaziali che oltrepassano di continuo il set per avventurarsi nel territorio della riflessione profonda sul senso della Storia e dell'appartenenza a quest'ultima, e ci pare pochissimo per The Russian Ark in cui Sukurov è riuscito a filmare l'hic et nunc dello scorrimento dell'immagine su se stessa, avvolgendo un set impossibile (L'Hermitage di Pietroburgo) nella spirale di un eterno ritorno di zombie della durata, sotto forma di simulacri inquieti di una Storia intesa come lungo fiume. Ed è proprio la liquidità scivolosa del cinema ad aver trionfato nella serata, dai piani trattenuti di Almodovar, ai sorrisi beffardi/inquieti/dolorosi, dunque liquidi, di Bellocchio. Passando per il giro di vite di una platea che comincia a svuotarsi, segno materico di un'improvvisa assenza di corpi che già rappresentano vicini/lontano il cinema che vedremo l'anno prossimo.

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