"Facciamo tutti quanti i conti con una certa doppiezza personale, raggiungiamo sempre dei compromessi con noi stessi." Incontro con Carlo A. Sigon, Claudio Bisio e gli altri protagonisti.

Tratto dal romanzo di Sandrone Dazieri "La cura del gorilla" viene lanciato come il primo vero film noir italiano. Ce ne parlano i protagonisti in un incontro svoltosi a Roma per presentare la pellicola.

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Come è nata l'idea di questo film?

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Claudio Bisio: Erano sette anni che non facevo un film per il cinema, sin dai tempi di "Asini". Nel frattempo ho lavorato molto per la televisione, per il teatro, ma rimaneva vivo dentro di me il desiderio di fare anche dell'altro. Volevo fare del cinema da molto ed in effetti ero alla ricerca di progetti. Certo in Italia non è facile, è più facile sbagliare progetto soprattutto con l'avvento delle fiction, ma il cinema è sempre il cinema. Questa storia mi è piaciuta da subito leggendo per caso il romanzo di Dazieri. Il mio libraio di fiducia, che mi conosce da anni e sa il mio gusto letterario, un giorno mi diede a leggere "La cura del Gorilla", secondo libro dell'allora trilogia, ora si è aggiunto un quarto libro. Mi ha incuriosito e interessato questa doppiezza del protagonista, lo sdoppiamento della sua personalità. E poi il fatto che è ambientato nella mia città, a Milano. Ne ho parlato quindi con il produttore Maurizio Totti, con il quale in vari modi lavoriamo insieme da venti anni, e da quella chiacchierata sono iniziati i contatti per realizzare il film.


 


A quale genere cinematografico ci si riferisce?


 


Carlo A. Sigon: Vengo da dieci anni di pubblicità e cortometraggi, questo è il mio primo lungometraggio. Appena finito il montaggio ho guardato e riguardato il film chiedendomi in che genere poteva rientrare. Poi ho pensato ad uno spaghetti-noir. Mi sembrava l'unica definizione che potesse esprimere bene lo spirito del film. Il lato noir qui è un chiaro riferimento comunque ad un certo tipo di cinema americano: i morti rappresentano una parte disagiata della società mentre l'assassino rappresenta la parte sociale più alta. Spaghetti invece per ironia e citazioni allo spaghetti-western, citazioni attraverso la musica e certe inquadrature. La vicenda di per sé e il lavoro sull'indagine li considero le parti più meccaniche del film.

Il personaggio ha una doppia personalità: c'è una preferenza tra le due?


 


Claudio Bisio: Il mio personaggio sin da bambino soffre di questa particolare forma di sdoppiamento della personalità: una, Sandrone, bonaria, l'altra, il Socio, razionale e più violenta. E' proprio questa doppiezza ad avermi colpito per poi volerne interpretare il ruolo. Non ci sono delle chiare preferenze che scaturiscano dal film, è chi lo vede che poi si lega di più ad una o all'altra personalità. Ci sono comunque delle diversità rispetto al romanzo, come ad esempio il passaggio da un personaggio all'altro: nel romanzo è completamente letterario attraverso dei biglietti che ogni volta vengono letti, sono molto belli e in un romanzo rendono perfettamente, ma in un film avrebbero reso tutto più noioso.


 


Carlo A. Sigon: E' una schizofrenia non tragica che mette il personaggio ogni giorno di fronte all'altro se stesso. Per me è il lato più affascinante della storia che abbiamo cercato di mostrare anche con una certa ironia nella lotta di uno contro l'altro. C'è anche una lettura meno superficiale: facciamo tutti quanti i conti con una certa doppiezza personale, raggiungiamo sempre dei compromessi con noi stessi.


 


Il film vanta la partecipazione straordinaria di un premio Oscar come Ernest Borgnine:


 


Sandrone Dazieri: Già mentre scrivevo il romanzo speravo che un giorno sarebbe diventato una pellicola cinematografica. Avevo anche il cast in testa: con Claudio Bisio e Stefania Rocca. In particolare proprio i primi due libri della allora triologia li ho scritti pensando a Claudio Bisio come protagonista. Poi in seguito mi è capitato di veder recitare Stefania Rocca: mi aveva colpito la sua energia che ho voluto mettere nel mio personaggio femminile. Non avrei mai pensato però che un premio Oscar avrebbe fatto parte della mia storia.


 


Ernest Borgnine: Quando ho ricevuto la telefonata del produttore Maurizio Totti mi è stato chiesto se potevo parlare in italiano. Io ho risposto che sapevo solo ordinare la birra al bar, e lui allora mi ha detto che la parte era mia. Nella storia diciamo che interpreto me stesso. E' il mio primo film in italiano. E' questa la più grande soddisfazione per me come attore, aver recitato in un film in una lingua non mia.


 


 

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