FantaFestival 2019 – Hanna’s Homecoming, di Esther Bialas

Hanna torna al villaggio e si accorge di essere circondata da pregiudizi e dicerie. L’accusano di essere una strega come la madre. Dopo il suo arrivo cominciano ad accadere eventi inspiegabili.

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Hanna, dopo tre anni in collegio, torna durante le vacanze estive nel suo villaggio natale, che si trova in un posto isolato dietro la palude, per aiutare il padre, proprietario di una macelleria, ma si accorge presto di non essere la benvenuta. I paesani la guardano con diffidenza, perché crescendo assomiglia come una goccia d’acqua alla madre scomparsa. Tutti ricordano l’orribile notizia della sua morte, seguita dalla scoperta di tre cadaveri nella palude. E tutti credono fosse una strega, che attirò quegli uomini nella palude per ucciderli. Il ritorno di Hanna (Valerie Stoll) fa riemergere il passato. La ragazza si sente sola finché non incontra una sua coetanea, Eva (Milena Tscharntke), un’adolescente molto sicura di sé, e trova finalmente la controparte che le mancava. Nel frattempo, nel villaggio si verificano sempre più eventi misteriosi.

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Hanna’s Homecoming, tradotto in italiano in Dove non cade l’ombra, è il lungometraggio d’esordio di Esther Bialas. L’ambiente selvaggio, le apparizioni, gli amuleti, i patti di sangue, la giovane regista utilizza un repertorio abbastanza classico e quando si ci imbatte nella casa nel bosco viene immediatamente da pensare ad un’applicazione alla lettera del manuale di Propp, o di qualcosa di similare, con l’aggiunta di una complicazione psicologica contemporanea. Ma rumori sinistri, ombre, segni premonitori, l’immancabile epistassi della protagonista e la superstizione di cui è circondata, tutti strumenti in dotazione al genere fantahorror, funzionano perfettamente per creare l’atmosfera e la giusta tensione emotiva. Probabilmente la nota migliore viene dal paesaggio ostile, il bosco, la palude, ideali per raccontare degli umani come esseri marginali sovrastati da forze oscure, potentissime. E nella rappresentazione sporca del paesaggio, soprattutto nella fedele riproduzione sonora che vive di un silenzioso tramestio naturale, con un equilibrio fatto di cenere incandescente. Un processo di riduzione subumana a semplice comprimario di evidente carattere metaforico e strutturale, ideale per un plot twist che ridistribuisca le colpe e le responsabilità degli eventi dentro una spiegazione logica più vicina al film giallo. Anche se il precipitare degli stessi sembra quasi cogliere alla sprovvista i protagonisti.

Nella scrittura, il tema del personaggio che arriva da fuori diffondendo lo scompiglio nella comunità, convive con quello del protagonista che nel percorso narrativo incontra il passato ed i segreti che nasconde. Il torbido e l’inconfessato. Che fa paura e può far male. Ma non può restare celato troppo a lungo. Di certo non ad Hanna, una ragazza con un’età piena delle caratteristiche dell’inquietudine, della curiosità di scoprire cosa, e chi, la circonda ed ancora deve scoprire sé stessa, piena di desiderio e turbamenti. La regista è brava ad allestire una moderna caccia alle streghe fatta di perfidie, bisbigli e sussurri alle spalle della vittima prescelta, ora come un tempo, per la violazione di qualche ottuso regolamento locale, con un comportamento quanto più libero tanto più riferibile al maligno. Alla quale, con la scusa della possessione demoniaca, affibbiare delitti e soprusi nati dall’invidia e dal pregiudizio.

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