FAR EAST FILM 11 – Dall'Indonesia a Love Exposure
Il pubblico premia i buoni sentimenti del giapponese Departures, la commedia per famiglie coreana Scandal Makers e l’indonesiano Rainbow Troopers. Nel complesso il buon livello medio delle pellicole presentate non nasconde la relativa avarizia di sorprese. Domina il Giappone, Corea del Sud in apnea.
Il Far East Film Festival di Udine conclude la sua undicesima edizione con un bilancio positivo, a partire dalla presenza del pubblico, numeroso persino agli spettacoli pomeridiani dei giorni feriali: secondo le note rilasciate dagli organizzatori del Centro Espressioni Cinematografiche, quest’anno gli spettatori totali sono infatti stati oltre 50 mila, mentre erano 1.200 gli accreditati. A conti fatti anche la qualità media delle pellicole regge, concentrando l’interesse su cinematografie in Italia ingiustamente sottovalutate – anche dalla prospettiva del cinema di genere, main focus del festival. Tra tutti i film visti, sono davvero pochissimi quelli a deludere completamente – il tedioso storico filippino Baler, la ruffiana commedia cinese tutta al femminile Desires of the Heart, l’insopportabile polpettone ospedaliero giapponese The Triumphant General Rouge. A spiazzare è semmai l’assenza di picchi e sorprese eclatanti. Se nelle scorse edizioni, a fronte di una selezione più altalenante, non sono mancate le epifanie improvvise (si vedano Fine Totally Fine, Gachi Boy, Funuke o Adrift in Tokyo per l’edizione 2008), quest’anno tutto è rimasto entro i confini del solido prodotto commerciale di buona fattura.
Tra i film coreani, cocenti delusioni per due film molto attesi, più che altro per i nomi “d’accompagnamento”. La commedia Crush and Blush, diretta da Lee Kyoung-mi, ma scritta e prodotta da Park Chan-wook, e il noir metacinematografico Rough Cut, diretto da Jang Hun, ma scritto e prodotto da Kim Ki-duk, fanno storcere il naso sotto troppi punti di vista. Se il primo si inabissa subito nei lidi del demenziale involontario, Rough Cut si ritaglia una prima parte promettente, che purtroppo naufraga in un’interminabile seconda – con l’aggravante di uno split-screen finale da denuncia. Non va molto meglio alla discussa ricostruzione in costume di A Frozen Flower, melodramma degli eccessi che si perde in una inconsistente sregolatezza in odore di omofobia: un peccato, perché Yoo Ha aveva dimostrato di meglio (Crazy Marriage, Once Upon a Time in Highschool, Dirty Carnival). La solida costruzione dei personaggi e la bravura dei due attori principali di My Dear Enemy non ne mascherano l’eccessiva lunghezza, infine sfiancante: il risultato è comunque parecchie spanne sopra alla solita commedia romantica Hello Schoolgirl e allo storico-comico The Accidental Gangster. Caso a parte è la godibile commedia degli equivoci Scandal Makers, arrivata seconda agli Audience Awards. L’esordio di Kang Hyeong-chul non va in ogni caso oltre la semplice rielaborazione di cliché narrativi consolidati: ha dalla sua un buon ritmo e le irresistibili espressioni facciali del piccolo protagonista, ma è cinema preprogrammato e premasticato per sfondare al botteghino accontentando il maggior numero possibile di persone.
La Cina offre delle buone commedie nere che si concentrano con gusto sugli incroci del destino e le coincidenze di sceneggiatura. È il caso di Crazy Racer, di Ning Hao, e delle due prove di Cao Baoping, l’irriverente Trouble Makers (del 2005, ma fino a oggi bloccato dalla censura) e il recente The Equation of Love and Death, articolato scambio tra tragedia amorosa e mystery metropolitano. Dopo il buon esito di Beast Stalker e The Way We Are, Hong Kong riserva ancora qualche sorpresa con l’action Ip Man, veicolo celebrativo per l’indiscutibile bravura marziale di Donnie Yen, il divertente Tactical Unit: Comrades in Arms (secondo spin-off da PTU di Johnnie To) e True Women for Sale, dell’inossidabile Herman Yau, qui impegnato in un innesto tra commedia e cinema sociale cui ha abituato con opere come Whispers and Moans (2007) a From the Queen to the Chief Executive (2000).
Infine il Giappone, che non vive di soli Departures (primo posto agli Audience Awards), Yatterman, Fish Story o dello stralunato Instant Swamp. Altri due film, diversissimi tra loro, eppure egualmente interessanti, concludono la panoramica. Climber’s High è un affresco tutto in crescendo sulla redazione di un piccolo quotidiano locale di fronte alla tragedia di un jumbo jet precipitato. Il film di Harada Masato arranca in partenza, ma poi si eleva, riuscendo a mettere in scena senza banalità i processi decisionali, le dinamiche interne e le logiche di notiziabilità che ammantano il mondo dell’informazione – tema quanto mai delicato e attuale. Al contrario, Love Exposure del talentuoso Sono Shion è un tour de force di quattro ore perso tra depravazione, famiglie disfunzionali, sette religiose, parafilie assortite, salti consapevoli nel grottesco. Una sarabanda che cortocircuita alto e basso, senza paure e con autoironia, osando eccedere anche su temi sensibili come i legami sociali e la religione.
Nessuna grande novità, ma tanto buon cinema, al Far East Film edizione 2009. Peccato solo per la premiazione finale, che non va oltre l’attestato di stima al fin troppo furbo premio Oscar Departures e al consenso intorno al ben costruito, ma dimenticabile Scandal Makers.
AUDIENCE AWARD
1) Departures, di Takita Yojiro (Giappone, 2008)
2) Scandal Makers, di Kang Hyoung-chul (Corea del Sud, 2008)
3) Rainbow Troops, di Riri Riza (Indonesia, 2008)
BLACK DRAGON AWARD
Departures, di Takita Yojiro (Giappone, 2008)