FAR EAST FILM 8 – "Dragon Squad", di Daniel Lee

L'irruzione del noir all'interno del festival è all'insegna dell'azione più roboante coniugata ad una particolare attenzione nei confronti dei personaggi. Un poliziesco dall'anima divisa in due, imperfetto ma da difendere.

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Il poliziesco irrompe violentemente nell'atmosfera del festival con Dragon Squad di Daniel Lee (La Vendetta della maschera nera): il primo scossone arriva dai titoli di testa, con quel "Steven Seagal – Producer" che scuote il pubblico in sala facendo presagire poco di rassicurante. Non è immediatament e ben chiaro come reagire di fronte a questo action: la committenza americana si respira a pieni polmoni, c'è poco da fare, e storce il naso in più di un'occasione; a tratti sembra quasi di scorgere la mano di un Tony Scott, tanto è frastornante e videoclippato il ritmo infuso alle sequenze. E' la componente che caratterizza la prima anima del film, quella che infastidisce di più, la stessa probabilmente che giustifica la scelta – per fare un esempio – di accompagnare le scene più drammatiche con insulsi motivetti (inglesi) strappalacrime. E' lampante come l'intenzione di fondo sia quella di conquistare il pubblico occidentale (nel cast figura anche Michael Biehn), così come è evidente che ci troviamo lontani anni luce dall'essenza pura e semplice  dell'action made in Hong Kong; eppure, nonostante quanto detto, è innegabile che il film possieda un suo fascino. Appunto, una seconda anima. Più intimista, più coinvolgente, che porta con sé un amore per i suoi personaggi e tutto l'intreccio di relazioni che essi si portano dietro, che sorprende e che emoziona. Nulla di nuovo, ovviamente, tutto ci è già stato mostrato (e in meglio), ma il groppo in gola che sale di fronte alle immagini e alle parole è sincero quanto basta; senza mai avere paura del ridicolo o dell'effetto kitsch (come nella scena finale, dopo la chiusa della vicenda, dove i protagonisti rimasti si ritrovano nel locale a sparare ai bersagli della giostra), e con alcune esplosioni di violenza e realismo che scioccano e fanno tornare alla mente i bei tempi che furono. Quindi, nonostante l'impersonalità del tocco, nonostante la patina "made in U.S.A.", nonostante tutto quello che vogliamo, in un modo o nell'altro si finisce per difendere questo Dragon Squad, pur con la consapevolezza che non vale la metà di un Infernal Affairs qualsiasi (solo per fare un esempio appartenente alla contemporaneità). Ma fare la lista dei difetti è un passatempo inutile e deleterio che non fa il gioco di nessuno, specialmente quando si parla di un cinema che coinvolge: di Dragon Squad rimangono dentro le ferite sanguinanti (del corpo, ma anche dell'anima),  una corsa di jogging di squadra, le rese dei conti "parallele" dell'ultima parte e il romanticismo di tutti, buoni o cattivi che siano; a voler essere pignoli si dimentica tutto questo e non si guadagna niente.

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