Far East Film Festival 2021 – Foreste, valentine, e lottatori di Sumo

Come ogni anno il Far East ci regala, attraverso le lenti del cinema di genere, una visuale a 360 gradi dell’Asia orientale, portandoci a bramare questi titoli anche nella distribuzione italiana

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

L’edizione del Far East Film Festival 2021 è volta al termine. Anche quest’anno la manifestazione dedicata al cinema asiatico è ricca di film di ogni genere e per ogni gusto, dalla fantascienza sud coreana all’horror tailandese, dagli action di Taiwan e Hong Kong alle commedie romantiche giapponesi. Spostandosi di paese in paese, il Far East ci regala ancora una volta un coloratissimo affresco del cinema dell’Estremo Oriente, e già a partire dai gustosi sottotitoli introduttivi che descrivono il genere di appartenenza dei film (pazzi da mandare in cortocircuito qualsiasi algoritmo), è sempre più chiaro come il Far East rimanga, anno dopo anno, uno dei festival più divertenti e importanti di sempre. Nell’edizione 2021 si parte dal Giappone, con un “hand to hand youth drama”, ossia il film The Golden Fish della regista Ogawa Sara: la diciottenne Hana e la piccola Harumi, si incontrano in una casa famiglia, e imparano a conoscere meglio loro stesse. È un dramma dal tocco gentile questo ma non privo di intensità, che davvero sembra custodire nel suo nucleo più profondo, tutto la coscienza dell’intimo così importante e ben protetta dal popolo giapponese. E poi c’è la costa e il mare del Giappone, sempre presente nelle immagini di The Golden Fish, nel quale si rispecchia la bellezza del femminile restituita delicatamente dalle immagini di Ogawa Sara.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

Dal Giappone si passa poi a Taiwan con una surreale commedia romantica, descritta con il sottotitolo “something is lost…a fantastic love story”. Il film, My missing Valentine diretto dal regista Chen Yu-hsun, da ottima commedia si gode ogni minuto ed è davvero una delizia. Succede proprio ad Hsiao-chi, ragazza impacciata e velocissima in tutto quello che fa, di perdere qualcosa, nello specifico un giorno, quello di San Valentino per l’appunto. La domanda è se questo evento bizzarro possa avere a che fare con lo strano, lentissimo ragazzo, che ogni giorno si presenta allo sportello delle poste in cui lei lavora. È una commedia questa, perfettamente inserita nel genere per toni e colori, e se la si volesse accostare all’Occidente, si inserirebbe in pieno nel filone che va fra Il Favoloso Mondo di Amelie e (500) giorni insieme, con tracce di surreale alla Big Fish o follie spazio-temporali alla Ricomincio da capo.

Dalla Corea del Sud arrivano moltissimi film, il restauro dell’horror del 1971 Suddenly in the dark night, e molti action movie che sarebbe però assai limitante ridurli a questa definizione. Come Kundo: Age of the Rampant uno “spectacular period action”, per l’appunto. Il film di Yoon Jong-bin racconta la storia di un clan di giustizieri protettori del popolo, e mischia atmosfere western con ricostruzioni storiche ad altissimo budget, passando per scene spettacolari a suon di spade e arti marziali e mantenendosi sempre su un piano comico e divertito. Si passa poi alle Filippine con Fan Girl di Antoinette Jadaone. Un film non riuscitissimo, forse a causa del ritmo un po’ zoppicante della sua scrittura, ma molto interessante per il tema che affronta, e cioè quello della venerazione degli idoli pop, che si perde in quella spaccatura fra la vita pubblica di una star e quella privata. Un tema molto sentito in Asia, basti pensare al clamore che circonda i gruppi di Korean Pop o Japanese Pop e alla loro schiera di fan sfegatati. La storia è quella di Jane, interpretata dall’attrice e modella filippina Charlie Dizon, che innamorata della star di film romantici Paulo Avelino, riesce a intrufolarsi in casa sua, fino a scoprire che il suo idolo del cuore non è esattamente come se l’era immaginato. Da qui il sottotitolo “a fan’s passion turns into a nightmare”. Ed è un peccato che il film della Jadaone non raggiunga mai a pieno l’incubo, perché ha comunque delle intuizioni interessanti, come quella di far interpretare l’idolo Paulo Avelino a Paulo Avelino stesso, attore realmente esistente famosissimo nelle Filippine, sia per la serialità televisiva che per i grandi blockbuster del Paese. Ed in Fan Girl quindi, proprio a voler operare una critica sociale in tutto e per tutto, Paulo Avelino si presta ad interpretare una versione immaginaria e  peggiore di se stesso.

Dalle Filippine, che ritornano più volte anche con il restauro di At the top di Ishmael Bernal, si passa alla Cina con Anima, un “Mother Nature rules” della regista Cao Jinling, che ambienta il film nei  luoghi della sua infanzia, nello specifico nella bella foresta di Moerdaoga. Un film Anima, dove la vera  protagonista è la foresta stessa, attorno alla quale orbitano e vivono i co-protagonisti di questo dramma familiare, due fratelli e una donna contesa. E questi personaggi sono a tutti gli effetti sudditi della natura stessa, che tramite i campi lunghi, dettagli dei luoghi ghiacciati e alberi in grado di lanciare maledizioni, ci arriva in tutta la sua onnipotenza.

Risulta evidente, visione dopo visione, come il Far East sia un festival fondamentale, che tramite la diffusione del cinema di genere asiatico, riesce a regalarci uno sguardo a 360 gradi sull’Oriente. Una visione ampia dell’Asia orientale che passa attraverso le lenti veritiere della finzione (e spesso e volentieri dalla sincerità dei toni pop), mostrandoci la quotidianità di quei luoghi lontani, passando per l’appunto dalle fan girl al rapporto con la natura, vissuto in modo completamente opposto dall’Occidente. Ma ovviamente non c’è solo finzione e il vasto affresco del Far East passa anche attraverso i documentari, come Assassins di Ryan White o Sumodo – The successors of Samurai, lente di ingrandimento sui lottatori di Sumo. E l’incredibile Hong Kong, oltre a sfornare thriller e horror comici, ci regala un documentario classico nel modo di raccontare, che segue la figura, dall’infanzia fino all’oggi, di Ann Hui, regista simbolo della New Wave hongkonghese. Attraverso interviste a parenti, amici, colleghi ed ex compagni di scuola si delinea la figura della regista, per la quale “non conta assolutamente fare un bel film ma conta il processo di apprendimento e l’esperienza di vita che acquisisci”. E questo risulta chiaro anche attraverso il costante uso di immagini dei suoi film,  profondamente autobiografici, che riescono a raccontare il cambiamento del cinema di Hong Kong e i cambiamenti della città stessa nel tempo e nelle sue mille sfaccettature.

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array