FCAAAL 26 – Secondo giorno, tra Chen Kaige e Jonatan Relayze Chiang

Due film opposti in Monk comes down the mountain di Chen Kaige la forza esplosiva di un cinema potente erazionale, In Rosa Chumbe di Jonatan Relayze Chiang le tracce di una minimalità silenziosa.

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Che Chen Kaige fosse uno dei più puri esponenti del cinema cinese, lontano da ogni contaminazione occidentale lo sapevamo da un bel po’ di tempo. Questo sia detto senza volere attribuire all’innesto di culture un significato negativo, ma solo per sottolineare la natura di un cinema e soprattutto di un autore, così autenticamente altro e differente da essere un pezzo assolutamente raro e prezioso in un panorama – genericamente – culturale votato ad una parificazione sempre più globale. I festival restano e si attestano quindi come riserve di caccia per appassionati, cultori, spettatori curiosi e girovaghi se è vero che Monk comes down the mountains quarto incasso al mondo nel 2015, non è stato scelto da nessun festival e la proiezione di Milano, nella sezione Flash, costituisce quindi l’anteprima Monk comes down the mountaunseuropea del film. Verrebbe da dire che è così che va il mondo guardando ai nostri schermi affollati di tante inutili sovrapposizioni industriali e prodotti già digeriti dentro il ventre molle di una distribuzione (globalmente) impigrita e oziosa.
He Anxia è un monaco che per la sua abilità nel kung fu è considerato maturo dal suo maestro. È quindi può andare a vivere fuori dal monastero in mezzo alla gente. Una serie di incontri determineranno la sua vita, ma al centro sempre il kung fu, nobile arte marziale a segnare le tappe successive della completa formazione del protagonista.
Un film esplosivo e dirompente, ricco di una forza narrativa dickensiana, nel progressivo dipanarsi della storia che vede al centro, in una simmetria geometrica due coppie di fratelli e una coppia di amici e al centro di questa armoniosa

Monk comes down the mountains, Kaigestruttura che procede secondo l’antica regola delle scatole cinesi, lui, il giovane monaco testimone di questo succedersi di eventi e di maestri dai quali apprende i segreti delle arti marziali e affina le conoscenze sul mondo e sugli uomini. Kaige dimostra di credere a fondo nelle discipline marziali come strumento di elevazione morale e spirituale e accompagna i perfetti e cronometrici disegni fisici dei suoi personaggi con avvolgenti e strutturati movimenti di macchina. Un impianto visivo affascinante che ci conduce non solo dentro le vorticose piroette dei combattenti, ma ridefinisce, visivamente, quell’equilibrio tra corpo e mente che appartiene alla disciplina del kung fu. Solo così si arriva al colpo dei nove dragoni, nella pura astrazione della forza che smette di essere violenza, per diventare pura energia che implode invece di esplodere. Kaige quindi costruisce tutto il film in modo da agevolare questa tensione verso la perfezione, verso quell’irraggiungibile equilibrio tra yin e yang più volte richiamato durante il film. Il risultato è quello di un’ascesi che se non è mistica, poco ci manca, in quella astrazione tutta visionaria che traduce la stabilità tra il peso del corpo, la forza della razionalità e la misura bilanciata della forza fisica correre su un filo sottilissimo con la stessa sicurezza che si avrebbe se, invece, sotto i piedi ci fosse una perfetta superficie. I misteri dello zen che Kaige traduce nella potenza delle sue immagini che sembrano perfino prescindere da una storia che vede al centro lo spezzarsi progressivo di legami familiari che rendono più aspra la lotta e più dolorosa la verità. Monk comes down the mountains è un film che si sviluppa su più livelli e Kaige stesso sembra dircelo esplicitamente nell’incipit, con lo splendido dolly che parte dall’alto a guardare la città e ad arrivare sull’asfalto dopo avere abbracciato con lo sguardo quasi il mondo intero per chiuderlo in basso, per poi risalire verso le cime del finale leggendario.
Di fattura completamente opposta è il film dell’esordiente Rosa Chumbe, Jonatan Relayze Chiangperuviano Jonatan Relayze Chiang, ma anche lui con ascendenze cinesi. Rapper e artista poliedrico il giovane regista peruviano firma il suo esordio con Rosa Chumbe nella sezione del Concorso Finestre sul mondo. La sua protagonista è un’attrice con venticinque anni di esperienza, ma lontana da ogni clamore poiché non bianca e quindi troppo poco mainstream per il mondo e perfino per quello peruviano. Il suo personaggio è quello di una scontrosa e antipatica poliziotta che gioca alle slot machine, ha una guerra aperta con la figlia ragazza madre ed ella stessa è sola senza alcun compagno. Vive male e beve e gioca e dorme vestita, si disinteressa del nipote. Chi potrebbe amare Rosa Chumbe? negligente sul lavoro e chiusa in una solitudine senza soluzione. Chiang costruisce il suo film sul silenzio, sulle immagini che non possiedono alcuna spettacolarità e che non hanno bisogno di parole e le poche servono a riempire gli spazi vuoti lasciati dagli sguardi. Rosa è un animale ferito che nasconde al mondo la propria storia, ma non il suo disprezzo e sembra navigare indifferente da un punto all’altro della vita. Il recupero di una fiammella d’umanità sembra del tutto casuale, ma il destino sembra accanirsi contro di lei. Un finale miracolistico durante la grandiosa processione della santa, potrebbe mutare il futuro di Rosa e forse lo cambierà, questo sembra scritto nelle lacrime con cui il film del giovane regista si chiude. Forse un finale conciliante, sicuramente rassicurante e pacificatorio per lo spettatore, ma del tutto contraddittorio rispetto all’impianto della storia. Chiang forse non ha avuto fino in fondo il coraggio di una scelta pienamente drammatica o forse ha soltanto offerto una speranza anche se da altri abbiamo imparato che la speranza è una trappola.

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