FCAAAL Milano 25 – Concorso cortometraggi

La sezione dei cortometraggi ha sempre avuto un posto di rilievo nel programma del Festival di Milano, segno di un’attenzione per quelle cinematografie sempre alla ricerca di risorse produttive.

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La particolare attenzione che il Festival di Milano dedica al cortometraggio costituisce sicuramente la misura dell’interesse nei confronti della produzione cinematografica in quei luoghi. Il cortometraggio è sicuramente un banco di prova, benchè faccia genere a sè, ma consente una ricerca di minori fondi economici e la sua realizzazione è, indubbiamente, più rapida di quanto lo sia un lungometraggio. Resta il problema della sua diffusione al di fuori di questi circuiti più specializzati.

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Excuse Me While I Disappear, Michael MacGarry

Excuse Me While I Disappear, Michael MacGarry

Erano dieci i cortometraggi in concorso e il premio della giuria è andato a 4 avril 1968 di Miriam Gharbi. Il film, ambientato in Guadalupe, è già stato ospite della Quinzaine des Réalisateurs e racconta dell’incontro di Sabine che all’uscita di scuola si addentra nel bosco e fa conoscenza con dei componenti delle Pantere nere. Erano gli anni delle rivolte e della nascita dell’orgoglio nero, ma quel giorno in America sarebbe stato assassinato Martin Luther King. Il film rietra nell’iniziativa Razzismo, una brutta storia.
Particolarmente suggestivo ed evocativo è il film del sud africano Michael MacGarry che ha realizzato Excuse me while i disappear ambientato in Angola, a Kilamba Kiaxi che è una nuova city costruita dai cinesi alla periferia di Luanda. L’infrazione delle regole da parte di un impiegato addetto alla pulizia avviene attraverso insolite modalità. Un film che fonda il suo fascino su una geometrica composizione dello spazio e una surreale conclusione, metafora fulminea di una più complessiva sparizione di identità.
Del tunisino Père di Lofti Achour si è già detto e ci pare sia stato, per la capacità di racconto e un’ottima qualità della scrittura anche dei personaggi, uno dei migliori film in concorso.
Se ogni tanto il cinema riesce a raccontare l’incubo attraverso una realtà stringente, un detour attraverso un racconto minimale, questa volta l’esperimento è riuscito per il marocchino Kamal Lazraq che con il suo L’homme au chien ha raccontato un incubo quotidiano, uno spaccato di un’umanità segretamente dedita al crimine e l’amaro risveglio dal brutto sogno accorgendosi della realtà del vissuto.
Merita una menzione anche Lazy Susan del sudafricano

L’homme au chien, Kamal Lazraq

L’homme au chien, Kamal Lazraq

Stephen Abbott. La giornata di lavoro di una cameriera di un ristorante che si conclude nel peggiore dei modi mentre conta il denaro incassato con le mance. Un film che pur nel suo atteggiarsi un pò pretenzioso cattura l’interesse per l’originalità delle riprese che sembrano togliere identità ai personaggi. Il processo è volto a sottolineare la loro spersonalizzazione nei confronti della clientela. Il film si fa più ampia metafora sociale e generalizzata.
A metà tra la voglia di restituire una non più possibile condizione esistenziale e il desiderio di raccontare una storia sospesa tra il reale e l’immaginario è Passage à niveau, dell’algerino Anis Djaad. Un film che nel tentativo di dissolvere il racconto lasciando soltanto il suo senso, resta sospeso, come il suo protagonista, custode di un passaggio a livello, in una terra di mezzo dopo la quale sembra smarrire il suo obiettivo.
È interessante l’assunto dal quale parte l’egiziano Yasser Shafiey per il suo The dream of scene. Un regista (lo stesso Shafiey) cerca un’attrice disposta a rasarsi i capelli per una sequenza nel suo film. Alla fine sarà Miriam, la sua assistente a farlo. Miriam però scoprirà che non vi è alcun interesse da parte del regista di girare un film sulla emancipazione delle donne, ma solo il desiderio di riuscire a girare questa scena bella e scandalosa. L’assunto è originale e serve ad intervenire su quel rapporto tra attività artistica e contemporaneità, se sia o meno vero che comunque un autore di quei luoghi debba per forza occuparsi della condizione sociale del suo Paese. Avrebbe potuto essere un film sulla necessità o meno dell’indipendenza dell’arte, ma la sua realizzazione manca di quello scatto di genialità, di quella scintilla vitale che ne avrebbe fatto un film ricco di suggestioni, di cui ricordarsi a lungo.

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