“Fear and desire”, di Stanley Kubrick
In Kubrick la guerra allenta i freni inibitori, svolgendo la sua funzione maieutica come parabola universale. La condizione determinata dal conflitto diventa crogiuolo di incontrollabili dinamiche personali. Il film è profondamente concettuale, scevro da particolarismi rispetto ai personaggi. I suoi temi abbracciano una universalità davvero infinita che tutto ricomprende, tutto sembra determinare e tutto avvolge come parola finale di un’intera vita
Fear and desire è una parabola amara sulla condizione umana, interpretata da personaggi che appaiono vere e proprie figure nel paesaggio, dentro uno scenario che appartiene anch’esso alla metafora, protagonisti di una guerra più raccontata che vissuta. Quattro soldati tentano una fuga dal territorio nemico dopo che l’aereo sul quale viaggiavano è caduto oltre quelle linee. La voce off però ci astrae dal reale per immergerci in questo non mondo e presentandoci questi protagonisti che forse nella loro mente, hanno una patria.
Come più avanti sarebbe accaduto, durante la carriera del regista americano, nei casi in cui l’assoluta sublimazione del lavoro dentro il genere consentiva una libera astrazione da ogni precedente, costituendo quindi i suoi film piuttosto summa (lo è Shining per l’horror e 2001 per la fantascienza), anche per Fear and desire non si può dire che sia un film di genere, ma qui per altre ed evidenti ragioni. Kubrick riflette con maturità, nonostante la giovane età, sulla condizione umana, sulla vanità del gesto eroico, sulla paura del fallimento della vita. La parabola si rinviene proprio nel significato delle due parole del titolo le due forze dominanti della nostra specie come ha spiegato il compositore delle musiche del film Gerald Fried. In questo senso l’assedio della vita, il nemico che i protagonisti cercano, lo troveranno, alla fine, nel proprio doppio (due attori interpretano due ruoli antitetici). Quasi a significare che il nemico che ci fa paura è qualcosa di assai simile a noi, se non noi stessi.
Sembra essere lo scenario bellico a ricostituire un percorso riflessivo dentro l’animo dei personaggi, forse proprio a causa
dell’estremizzarsi di quei due sentimenti che danno il titolo al film. Le silenziose meditazioni dei quattro protagonisti sulla vita e sul futuro, pur mai abbandonando quella veste poetica che li vede nella loro pura astrazione, assomigliano così da vicino alle altrettanto mute riflessioni dei soldati di La sottile linea rossa. Anche in quel caso, i protagonisti sono la guerra e un manipolo di soldati sacrificati alla vita. È proprio questa condizione determinata dal conflitto con il suo carico di forze che la dominano a diventare crogiuolo di dinamiche personali non più controllabili. È l’eccezionalità della contingenza bellica a costituire quella necessaria sospensione temporale (facciamo cose che non faremo mai più… dice qualcuno dei personaggi) che determina l’astrazione che si respira e che diventerà più raffinata nei lavori successivi, mantenendo fermi i principi che fanno del cinema di Kubrick un archetipo irripetibile.
La guerra in Kubrick allenta i freni inibitori, svolgendo a pieno la sua funzione maieutica che si realizza con il riaffiorare, insieme al brutale e primordiale istinto di sopravvivenza, dei sentimenti segreti, con la manifestazione delle paure e dei desideri. Kubrick ne fa, quindi, parabola universale, non riuscendo come sarebbe accaduto anche in futuro mai a chiudere il suo cinema profondamente concettuale, dentro particolarismi che riguardassero questo o quel personaggio, ma giocando i temi della propria riflessione con uno sguardo che abbraccia una universalità davvero infinita, resa ancora maggiormente perfetta dal viatico di una razionalità puntigliosa, che tutto ricomprende, tutto sembra determinare e tutto avvolge come parola finale di un’intera vita.
Ma in fondo, la chiave per entrare in questo primo passo cinematografico di Kubrick, della durata di quello che un tempo si sarebbe definito un telefilm, ma con una struttura che preannunciava quella teorica manifestazione del suo cinema, la chiave, per l’appunto, la fornisce lo stesso autore ed è ricavata da una lettera che Kubrick scrisse al distributore del film, l’originale ebreo polacco Joseph Burstyn: “La scrittura è allegorica; la concezione è poetica. Un dramma dell’uomo perduto in un mondo ostile – privo cioè delle fondamenta materiali e spirituali – che cerca una via per comprendere se stesso e la vita che si muove attorno a lui. Nella sua odissea è minacciato da un nemico invisibile ma mortale che lo circonda; si tratta di un nemico che dopo un’attenta osservazione sembra che sia tale e quale a lui… Probabilmente ognuno gli darà il proprio significato ed è così che dovrebbe essere.”
Insieme a Day of the Fight, the Flying Padre e Seafarers, Fear and Desire è comunque tassello fondamentale per la comprensione del percorso cinema di Stanley Kubrick inteso come raggiungimento ossessivo della perfezione dell'immagine e del controllo di ogni aspetto ad esso connesso