Fear Street 1994, 1978, 1666, di Leigh Janiak

Partendo dai libri di Stine, la trilogia ibrida le dinamiche dello slasher e quelle del folk horror per raccontare un’identità dei generi in trasformazione. Su Netflix

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Tra le epoche in cui si ambienta la trilogia di Fear Street l’anno mancante è il 1989, ovvero quello che diede i natali all’omonima collana di romanzi scritti da R. L. Stine per un pubblico adolescenziale – distinta perciò dalla più nota (e successiva) raccolta dei Piccoli brividi, dal taglio ancora più giovane. Non siamo comunque di fronte a una mera trasposizione delle storie raccolte nei volumi: l’operazione compiuta da Leigh Janiak viaggia invece nei binari della suggestione, del raccogliere spunti per organizzarli in una forma tutta sua, un po’ come già fatto da André Ovredal con le Scary Stories to Tell in the Dark di Alvin Schwartz.

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La forma è proprio ciò che inizialmente attrae dell’operazione, che si offre quale sintesi di slasher movie e folk horror, immaginando la giovane Deena e i suoi amici alle prese con la maledizione di una strega impiccata nel Seicento e che periodicamente provoca ondate omicide di serial killer all’arma bianca. Il che già evidenzia la natura ibrida di un racconto che tenta di destreggiarsi tra numerosi dualismi e dicotomie altrimenti perfette: non solo quella che idealmente dovrebbe dividere i due generi, ma anche quella che oppone la Shadyside in cui si ambienta la storia alla vicina e più solare Sunnyvale, le rispettive squadre nei tornei annuali, la sorella diligente e quella ribelle, gli adulti (assenti) ai ragazzi (vittime designate degli assassini). Il tutto lungo i ciclici ritorni della maledizione, che perciò rinnova i suoi orrori fra il 1994, il 1978 e il 1666 delle tre parti in cui è divisa la storia.

In tal senso, se il Seicento rimanda alla fondazione dell’America nel segno del puritanesimo e della caccia alle streghe, le altre due date centrano in modo quasi perfetto i periodi di picco dello slasher e tutta la sua ricognizione attorno ai concetti di sessualità repressa, contenimento degli slanci adolescenziali e ritualità conservatrici contro l’afflato libertario dei corpi. Ci si riferisce, ovviamente, ai tardi anni Settanta delle grandi saghe alla Venerdì 13 e ai Novanta della deriva postmoderna impressa dalla saga di Scream. I tre film diligentemente riportano i cliché e tutto l’apparato iconografico delle rispettive epoche e filoni, ma al contempo è come se tentassero di far slittare l’insieme verso altri lidi e mentre ripropongono una formula ne evidenziano un’altra – a tal proposito è interessante il lieve sfasamento temporale delle date: Venerdì 13 è del 1980, mentre Scream del 1996, quindi entrambi i film sono usciti due anni dopo rispetto ai momenti scelti da Fear Street.

In effetti il quadro non sarebbe completo senza considerare come proprio il discorso identitario sui temi della femminilità e della sessualità alle prese con le convenzioni sociali sia quello più caro a Leigh Janiak: lo avevamo già compreso con il bell’esordio di Honeymoon (disponibile nel catalogo Midnight Factory), dove la luna di miele degli sposini protagonisti diventava materiale di sperimentazione e scontro sul terreno della fertilità e del rapporto fra i sessi. Stavolta la dicotomia imposta dai due generi codificati spinge l’autrice a cercare una terza via, ibrida e trasversale appunto, che imponga nuovi modelli. Deena in particolare ama l’amica Sam di un amore che sfida le convenzioni sociali, deve lottare per lei e anche contro di lei nel momento in cui la ragazza diventa il fulcro della maledizione, lungo un percorso che porterà la protagonista a incarnare il punto di vista della strega per capirne le reali motivazioni e gli inganni della Storia. Il tutto all’interno di una vertigine di identità che si confondono, protagonisti che sono altro da sé, nomi che si riferiscono a una persona piuttosto che a un’altra, attori che interpretano più ruoli a cavallo delle varie epoche. Il gioco delle realtà e delle finzioni sovrapposte trasmette così la sensazione di un continuo slittamento di senso fra quello che è e quello che appare, che si rispecchia in questo mondo feroce nella sua immanenza, ma fittizio per il suo gioco dei cliché.

Nel continuo passaggio tra le epoche (quasi un Ritorno al futuro in chiave horror), la trilogia di Fear Street racconta così un’identità sociale in trasformazione, dove le dinamiche che hanno tentato di imbrigliare la comunità nei rigidi dettami del puritanesimo e della distinzione degli opposti rivelano tutti i loro inganni, mentre in superficie va in scena il divertito spettacolo della finzione. Leigh Janiak riesce a sfruttare questi doppi registri a proprio favore, componendo una saga sensibile e empatica verso i sentimenti dei protagonisti, ma al contempo capace di esprimere tutto il divertimento esagitato di un’età che vive le proprie sensazioni al massimo. Pertanto, la messinscena si destreggia fra momenti più riflessivi e altri in cui l’azione emerge frenetica, l’impatto delle armi sui corpi esplode gioioso nella forza splatter degli omicidi e si fa strada anche un certo gusto grottesco per le creature tipico delle storie di Stine. Ne esce bene il casting, che “massacra” divertito i volti più noti (la Maya Hawke del prologo), trova sponda in alcuni interpreti ormai iconici di saghe come Stranger Things (la ribelle Sadie Sink) e lascia emergere la grinta della protagonista Kiana Madeira, moderna scream queen per niente rassegnata a farsi imbrigliare nei ruoli e nelle convenzioni del caso.

 

Titolo originale: Fear Street Part One: 1994 – Fear Street Part Two: 1978 – Fear Street Part Three: 1666
Regia: Leigh Janak
Interpreti: Kiana Madeira, Olivia Welch, Benjamin Flores jr., Julia Rehwald, Fred Hechinger, Maya Hawke, Michael Chandler, Sadie Sink, Gillian Jacobs, Emily Rudd, Ashley Zukerman, Jordana Spiro, Ted Sutherland, Elizabeth Scopel, Randy Havens
Distribuzione: Netflix
Durata: 107′ (1994) – 109′ (1978) – 112′ (1666)
Origine: USA, 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
2 (4 voti)
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