#FEFF20 – Il Far East 2018 parla coreano

Uno sguardo ai premi e agli highlights della ventesima edizione del festival di Udine (20-28 aprile), che si conferma la più importante manifestazione europea dedicata al cinema popolare asiatico

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Giunto alla sua ventesima edizione, Il Far East Film Festival (Udine, 20 – 28 aprile 2018), che quest’anno sembra parlare coreano, ha confermato la sua inclinazione per il cinema di impegno politico e civile. Il Gelso d’Oro e il Gelso Nero (il premio degli accreditati Black Dragon) sono andati entrambi al sudcoreano 1987: When the Day Comes di Jang Joo-hwan – che non può non riportarci a A Taxi Driver del regista sudcoreano Jang Hun – incentrato sugli eventi che hanno condotto alle contestazioni del giugno 1987 quando milioni di persone scesero in piazza per protestare contro la dittatura militare di Chun Doo-hwan. Il decesso di uno studente – evento reale e ben noto – causato dalla tortura del waterboarding da parte dei poliziotti dell’Ufficio Investigativo Anticomunismo, mette in moto una reazione a catena che sfocia in una crisi di governo e crea le premesse per una riforma democratica.
Del resto il tema delle mobilitazioni di piazza contro dittatura e corruzione è all’ordine del giorno. Il film infatti è uscito in Corea del Sud nel dicembre del 2017, solo un anno dopo le agitazioni che hanno visto ancora una volta fiumi di persone riversarsi per le strade delle principali città sudcoreane per chiedere le dimissioni dell’ex presidente Park Geun-hye.

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Le proteste che hanno infiammato la Corea del Sud negli anni Ottanta, costituiscono inoltre il filo conduttore del film Courtesy to the Nation del sudcoreano Gwan Gyung-won, presentato nella sezione collaterale “Do-cumentari del FEFF” che racconta attraverso interviste ad alcuni ex manifestanti le violenze compiute sugli studenti.
Sudcoreano è anche il film di apertura del Festival, Steel Rain di Yang Woo-seok la cui opera prima, The Attorney era stata premiata al FEFF del 2014. Con il suo ultimo film, una complicata spy story ricca di suspence che si apre con un colpo di Stato contro la classe dirigente della Corea del Nord, Yang Woo-seok mette in scena la tensione tra le due Coree. Ancora una volta realtà e finzione si sovrappongono: il film è stato infatti distribuito a dicembre, in un momento di forti tensioni per i test nucleari nordcoreani.
Sudcoreano anche Last Child di Shin Dong-seok, vincitore del nuovo premio, il Gelso Bianco per la migliore opera prima.
L’amore del FEFF per i kolossal storici o per gli action movies di impronta patriottica è stato confermato dal film sudcoreano The Battleship Island di Ryoo Seung-wan (ulteriore sua opera proiettata durante quest’edizione del Festival è Veteran del 2015) vincitore del terzo premio del pubblico, una mega produzione costata ben 21 milioni di dollari che descrive in forma romanzata lo sfruttamento della manovalanza coreana da parte delle forze nipponiche nelle miniere di carbone a Hashima, una minuscola isola dalla forma simile a quella di una corazzata – da qui il titolo del film – durante la seconda guerra mondiale.

La cinematografia a carattere nazionalista arriva anche in Cina continentale e a Hong Kong

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come testimoniano i due film cinesi Wolf Warrior II di Wu Jing e Youth di Feng Xiaogang e il film Operation Red Sea dell’hongkonghese Dante Lam. Il primo, record assoluto di incassi nella storia del cinema cinese – circa 900 milioni di dollari – deve il suo successo non solo all’implicito messaggio patriottico, ma anche, e soprattutto, alla straordinaria costruzione delle scene d’azione. Wu Jing, regista e interprete di questo action-war movie si fece conoscere già nel 2015 grazie al primo capitolo della serie Wolf Warrior, incentrato su un’operazione antidroga nella zona di confine al sud della Cina. Il film di quest’anno, ambientato in una regione dell’Africa non ben identificata, e inserito dunque in una prospettiva internazionale, sembra finalizzato alla costruzione e all’esaltazione di un ruolo salvifico della Cina, che attraverso il suo portavoce Leng Feng, alias Wu Jing, pronto al sacrificio pur di proteggere e difendere i suoi connazionali e molti africani in piena guerra civile, combatte pirati e mercenari occidentali.
Sulla stessa scia di Wolf Warrior II troviamo Operation Red Sea, un action movie ambientato ancora una volta in Africa che narra le eroiche avventure della marina cinese per portare in salvo i propri compatrioti e sventare piani terroristici finalizzati alla diffusione della bomba atomica.
Youth, una sorta di inno alla giovinezza, ci riporta invece al periodo della Rivoluzione Culturale. Feng Xiaogang – già protagonista del FEFF con I Am Not Madame Bovary del 2017 – si riavvicina al dramma di carattere storico già trattato nei precedenti film Assembly (2007) e Aftershock (2013) attraverso il racconto delle vicende di un gruppo di ballo dell’esercito in una provincia del sud-ovest della Cina. Come in buona parte dei film cinesi già a partire dalla Quinta Generazione, le vicende della Cina si intrecciano e si confondono con quelle dell’individuo ma, a differenza delle pellicole precedenti qui emerge un affresco in cui gli episodi più bui della Rivoluzione Culturale sono addolciti dall’idealismo dei protagonisti.

Il secondo premio del pubblico è stato assegnato agli zombi del giapponese One Cut of the Dead di Ueda Shinichiro, un progetto nato dal workshop ‘Cinema Project’, una scuola di Tokyo per aspiranti attori e registi per la quale Ueda aveva già realizzato una serie di cortometraggi.
Tra i più attesi film giapponesi anche Yocho (Foreboding) del regista Kurosawa Kiyoshi – già protagonista del FEFF 2018 con lo psycho-thriller Creepy – una storia di invasione di alieni nata come una serie in cinque puntate e diventato solo successivamente un lungometraggio.

La protagonista indiscussa della ventesima edizione del Far East Film Festival è stata però l’attrice taiwanese Brigitte Lin Ching Hsia, icona del cinema di Hong Kong e musa ispiratrice di registi come Tsui Hark e Wong Kar-wai, omaggiata al Far East con il Gelso d’Oro alla carriera e una piccola retrospettiva al Teatro Visionario. Tra le opere in programma, il film d’esordio Outside the Window (Sung Tsun-shou, Yok Teng-heung, Taiwan, 1973, copia restaurata dal laboratorio ‘L’Immagine’ della Cineteca di Bologna) tratto dal primo romanzo di Chiung Yao; Cloud of Romance (Chen Hung-lieh, HK, 1977, copia restaurata dal Taiwan Film Institute) in prima europea; Red Dust (Yim Ho, HK, 1990) con il quale vinse il premio come migliore attrice ai Golden Horse Awards di Taiwan; Dragon Inn (Raymond Lee, HK, 1992) prodotto da Tsui Hark, un wuxia la cui scena centrale mostra la battaglia acrobatica tra Brigitte Lin e Maggie Cheung; The Bride with White Hair (Ronny Yu, 1993) un altro wuxia in cui interpreta un’assassina nel tentativo di affrancarsi da una setta malvagia e il grandioso Chungking Express (1994), uno dei più amati film di Wong Kar-wai che ricorderemo per sempre grazie alla strepitosa interpretazione di Brigitte Lin nei panni di una trafficante di droga in parrucca bionda e occhiali da sole.
Altro ospite d’onore di questa ventesima edizione del FEFF, nonché fondatore e presidente del ‘Fresh Wave Short Films’ nato dodici anni fa con lo scopo di sostenere le nuove generazioni di registi hongkonghesi attraverso una selezione di corto-metraggi (durante questa edizione sono state scelte tre opere) è Johnnie To di cui, in serata di chiusura, è stata presentata la copia restaurata di Throw Down, primo film di To presentato alla Mostra del cinema di Venezia nel 2004. Il progetto del restauro, commissionato dal Far East dopo il grande successo di Made in Hong Kong di Fruit Chan dello scorso anno, rappresenta un ulteriore passo avanti nella diffusione e nella conservazione del patrimonio cinematografico asiatico.
Del resto il legame di Johnnie To con il Far East Film Festival risale al lontano 1998 quando, durante la prima edizione, fu presentato A Hero Never Dies. Da allora i suoi rapporti con il FEFF non sono mai venuti meno. Basta pensare a Yesterday Once More del 2004 girato in parte a Udine o a Vengeance presentato al FEFF 2010.

Insomma, anche questa ventesima edizione con i suoi 81 lungometraggi provenienti da Cina, Corea del Sud, Filippine, Giappone, Indonesia, Malaysia, Thailandia e Vietnam, conferma il Far East come la più importante manifestazione europea dedicata al cinema popolare asiatico.

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