Felice chi è diverso – Incontro con Gianni Amelio

Felice chi è diverso

Un appassionato e appassionante Gianni Amelio, affiancato (a sua stessa sorpresa) da un sincero Ninetto Davoli strappato dalla platea, ha presentato il suo ultimo lavoro – già nella sezione Panorama all'ultimo Festival di Berlino. Il documentario sarà il primo titolo con il marchio dei 90 anni dell'Istituto Luce. In sala dal 6 marzo

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Felice chi è diverso - AmelioQuesta mattina presso il cinema Quattro Fontane di Roma, Gianni Amelio ha presentato il suo ultimo lavoro, il documentario Felice chi è diverso, – già nella sezione Panorama all’ultimo Festival di Berlino e realizzato anche grazie al materiale d’archivio dell’Istituto Luce in occasione dei suoi 90 anni. Uscirà in sala il 6 marzo.
 
Il film, il cui titolo è ispirato ad una poesia di Sandro Penna (Felice chi è diverso essendo egli diverso. Ma guai a chi è diverso essendo egli comune!), è una raccolta di testimonianze storiche e presenti sulla difficile condizione degli omosessuali in Italia e anche di come l’argomento è stato trattato dai primi anni del Novecento  fino agli anni 80, con i primi tentativi di “liberazione”, e quindi al presente che ancora è contrassegnato da tinte fosche. 
Presente tra il pubblico anche Ninetto Davoli, che nel film ha portato la sua testimonianza a proposito di Pasolini al quale la sua vita è inevitabilmente legata, e che ha partecipato alla conversazione. 
 
 
Durante l'intervista finale al giovane ragazzo di Bergamo si sentono le campane suonare. Scherzando, si può dire che le ha messe il nuovo Papa?
Gianni Amelio: Non è tanto una facezia. Quello che ha detto Papa Francesco, senza nemmeno essere interrogato qualche settimana dopo essere stato eletto, è molto più importante di tutti i coming out: 'chi sono io per giudicare un omosessuale'. È una prima pietra, quella che San Pietro ha messo per edificare la chiesa di Cristo. Nessun papa ha mai detto una frase di questo genere, anzi si sono sempre dette cose nefaste contro qualcosa che non è nè nefasto nè peccaminoso o violento, ma che è solo naturale. Francesco ha detto anche altre cose che hanno valenza sociale importantissima ma l'idea che ci sia oggi un papa che riconosca un problema in maniera realmente cristiana è una grande cosa, storica.
 
Ninetto Davoli: Il Papa è un uomo di grande valore. È una frase che avrebbero dovuto pensare un po' tutti. Viviamo in un'era avanzata in siamo ancora legati a questi pregiudizi che equivale al ritornare ai tempi della pietra. Mi disturba questa cosa dei pregiudizi. È normalissimo che ognuno ha il diritto di vivere la sua vita a modo suo e amare a modo suo e nessuno ha il diritto di giudicare.
 
 
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Felice chi è diverso - DavoliPerché hai scelto di mostrare quasi solo persone di una certa età?
Gianni Amelio: Parto da Berlino. C'è stato un lungo articolo pubblicato su Hollywood Reporter che con tono di critica suonava così: “sembra un film fatto 30 anni fa”. Bene, questo è l'elogio più grande che mi potesse arrivare. Non è un film di finzione: significa che la guerra non è finita ma deve ancora cominciare.
Prima delle olimpiadi Putin – costretto – ha detto 'sono benvenuti i gay e le lesbiche purchè non facciano del male ai nostri bambini’. E penso alla letteratura oscena dove le parole pederasta e pedofilo corrispondono a omosessuale. Ho una teoria: tutta l’omofobia nasce dalla paura di essere froci. Chi è omofobo dentro di sè ha una fragilità di cui non vuole prendere coscienza. Chi prende coscienza di questa fragilità può trasformarla in una forza. Crediamo che certe cose sono alle spalle ma in realtà non è vero. Perciò ho fatto un documentario con persone che testimoniano quello che è stato ma soprattutto quello che è. Nella conclusione di ogni racconto non c'è solo nostalgia per quando si era nascosti ma purtroppo ancora oggi è difficile poter dire le cose come sono. Ci sono persone che mi inquietano e nello stesso tempo mi fanno una certa tenerezza nel documentario, che ancora dicono e non dicono, vorrebbero ma non ce la fanno. Nonostante il momento storico e tutto quello che è stato fatto ancora pensiamo 'ma che dirà il vicino?'.
La persona che indica una strada è quella più giovane. Lui ha fatto una  cosa straordinaria quando ha impedito alla madre di avere pietà di un gay. Come racconta nel film, erano per strada e la madre ha detto 'poverino' ad un ragazzo visibilmente gay e da questo lui stesso ha avuto la forza, a 16 anni, di dichiararsi, con tutte le difficoltà conseguite ad esempio a scuola, che è uno dei posti dove è davvero difficile vivere – pensiamo a un insegnante che deve confessare la sua omosessualità. 
Perchè non ci sono i nomi.
 
 
E’ un finale molto duro, ma ci sono tante associazioni dove le persone omosessuali possono incontrarsi. 
Gianni Amelio: Io non sono d'accordo sul fatto che un ragazzo, o un adulto, debba iscriversi a un'associazione perchè la sua giornata gli pone dei problemi. Un uomo, una persona, non si deve curare se non è malato. Perchè un omosessuale deve andare in un altro posto dove trova un altro omosessuale per socializzare? Io spero che non si facciano mai più documentari così. Il ragazzo di Bergamo è il contraltare del ragazzo che si è buttato dalla finestra perchè deriso a scuola. 
 
 
Perché i nomi delle persone intervistate compaiono soltanto alla fine?
Gianni Amelio: Non serve sentire tanti giovani, occorre sentire tante persone di una certa età che l'omosessualità l'hanno vissuta ognuno a modo proprio, non c'è nel documentario un caso uguale a un altro caso. Abbiamo sempre privilegiato il caso complessivo, non il singolo. Perciò non abbiamo messo i nomi sotto le facce come si usa fare in tv. Non abbiamo neanche privilegiato le persone note come Poli e Ninetto, che sono persone come tutti. Il nome è una falsa informazione, è sottolineare che è l'opinione di quel tale. Ma no, è una persona che racconta il suo vissuto, poi chi guarda trae le sue conclusioni. E’ un racconto di vita di persone come tutti che non fanno del loro lavoro la loro bandiera.
 
 
Felice chi è diverso - PoliPerchè hai raccontato solo l’omosessualità maschile e non quella femminile?
Gianni Amelio: Dal punto di vista della valenza sociale è una questione molto diversa. La cultura dominante è maschile, negli anni ‘70 al cinema si è diffusa la moda dei film sulle lesbiche che erano visti da platee maschili perchè nell'immaginario maschile la donna lesbica è due volte tale. Un maschio si eccita all’idea di due donne insieme, nell'immaginario  femminile due maschi insieme non procurano eccitazione. Bisognerebbe fare un altro documentario sul mondo delle lesbiche, darebbe molte sorprese. E poi, se due ragazze camminano mano per la mano non vengono insultate, i ragazzi si. I due problemi sono diversi.
 
 
Quanto tempo ci è voluto per realizzare il film?
Gianni Amelio: Credo che mi portassi dietro da tanto tempo la necessità di fare non un film ma un documento su una realtà come questa. Per varie ragioni non si è mai potuto fare prima. Due anni fa mi hanno detto 'vuoi fare un documentario con Cinecittà Luce su un argomento che vuoi?’. Così come Scola con Fellini e Olmi su Martini. Mi è interessato approfondire com'è stato vissuto questo argomento dagli omosessuali e dai media, quando hanno cominciato ad occuparsene dopo il fascismo visto che Mussolini negava il problema. La cosa interessante è che in Italia non ci sono state leggi contro gli omosessuali a differenza, ad esempio, dell’Inghilterra dove sono finite negli anni ‘60. Questo perchè ufficialmente non esistevano omosessuali. Paradossalmente il fascismo ha evitato leggi razziali. C'era il confino ma era nascosto, se n'è parlato molto dopo. Si negava alla fonte il problema e di nascosto si isolavano. Nel post dopoguerra molto timidamente si è iniziato a parlarne, cioè nei ‘60, ad esempio con le vignette che si vedono nel documentario. Penso a cosa dev’essere stato per Pasolini leggere quelle didascalie. 
Dopo il sì abbiamo iniziato a cercare i documenti, abbiamo trovato poco. Poi abbiamo cercato testimonianze, ne abbiamo scelte una ventina, due non montate saranno nel DVD perchè non dicono cose nuove e non volevo appesantire il film.
 
 
Definisci le interviste “racconti”. Il concetto di narrazione prevale su quello di drammaturgia?
Gianni Amelio: Non ho voluto mettere la parola ‘testimonianza’ che sembra qualcosa di inquisitorio. Invece i racconti di vita sono le cose che più ti insegnano a capire la vita. Come mia nonna che raccontava pezzi di vita dei famigliari. Questi racconti fatti da chi ha vissuto sono doppiamente importanti. 
La distanza degli anni ha pacificato. In tutti c'è un vissuto crudele che per fortuna ci si è lasciati alle spalle.
 
 
Felice chi è diversoSi parla di affettività.. 
Gianni Amelio: Stiamo parlando omosessualità ma sarebbe meglio parlare di omoaffettività. Non tutti siamo nati per gli amori alla cosacca di cui ho grande rispetto ma in genere non si parla mai dell'affettività e del bisogno di prendere la mano del proprio compagno al cinema, immaginare o realizzare una vita di coppia. Questo la dice lunga sulla ghettizzazione che la cultura etero ha fatto. La fortuna del frocio di cui parla Poli, è anche la sua disgrazia. Resteremo portuali fino alla fine del mondo. 
Ninetto Davoli: Quante ne hanno detto di Pier Paolo Pasolinie di me. Si può essere amico di uno che è innamorato di te. Se Pasolini aveva questa tendenza su di me cosa ci potevo fare? A me piacciono le donne ma lui mi piaceva come persona, mi attraeva nel suo modo di essere. Non sono omosessuale ma mi piaceva Pier Paolo. Se qualcuno diceva frasi offensive su di lui io mi incazzavo, era mia amico e guai chi lo toccava. Lui è così e io sono colà, poi ci unisce qualcosa di positivo e di bello. Lui ha sostituito i miei genitori, era mia madre, mio padre, mio fratello. Su di lui ho detto  'ah ma allora c'è questo nel mondo'. Poi ognuno faceva la sua vita ma stavamo insieme, viaggiavamo insieme.. Come fanno due amici. 
 
 
Come collochi questo film nella tua produzione?
Gianni Amelio: Non è il primo documentario che realizzo. Mi sono occupato di emigrazione interna e della storia del servizio militare in Italia. Mi piace lavorare sugli archivi e sulla memoria. Questa volta c'era scarsezza di materiali perchè non ne hanno parlato troppo se non dai ‘70 in poi ma è stata una materia più televisiva, ad esempio c’era molto materiale suii vari gay pride, ma non era questa la direzione. L'ho fatto adesso perchè c'è stata l'occasione. Potrei fare benissimo domani un documentario sul l'agricoltura. 
Quanto alla collocazione io non colloco proprio niente, se vorranno saranno gli altri a farlo.
 
 
Felice chi è diverso Dove, in quali forze, si può collocare la speranza perchè la situazione cambi?
Gianni Amelio: Nella poesia di Sandro Penna che mette in guardia dal conformismo, dalla trappola di essere come gli altri per autoprotezione. Questa non è vita, non è ragionare o sentire, ti privi del tuo essere se deleghi il tuo comportamento a quello della comunità contandola per individuare la maggioranza. Bisogna sentirsi liberi, non avere la paura che nasce dalla ignoranza e dalla fragilità che si ha dentro e che viene dal non aver letto e sperimentato vita sufficientemente, non ci si deve fermare davanti ai luoghi comuni e a quella parola terribile che è tolleranza. 
 
 
Da Venezia 2013 c’è una tendenza verso il documentario?
Gianni Amelio: Datare Venezia 2013 come nascita del documentario in Italia non è esatto. Sacro Gra è stato la consacrazione, è vero, ma ricordo che io ho diretto il Festival di Torino per 4 anni durante i quali per la prima volta ha vinto un documentario italiano cioè La bocca del lupo di Pietro Marcello, che una data l'ha segnata. Cannes ha premiato documentari anche prima. Però ogni occasione è buona al di là delle etichette se quel che si rende visibile arriva dentro. 
 
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