Fellini, Roma, di Andrea Minuz

Edito da Rubbettino, il libro di Andrea Minuz è un’ottima occasione per immergersi nel contesto culturale e nei retroscena di un’opera decisiva per il suo autore e per il cinema italiano

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“Anche l’ultima città dell’imperfezione ha la sua ora perfetta, pensò lo scrutatore, l’ora, l’attimo in cui in ogni città c’è la Città.”

Italo Calvino, La Giornata d’uno scrutatore

Fellini e Roma. Un rapporto tormentato, complesso, viscerale. Una città densa di umori, odori, sapori e rumori. Un regista con uno sguardo diventato stile inconfondibile. Insomma, una città che viaggia tra i sogni di un adolescente e gli incubi di un adulto. Quando nel 1972 Fellini presentò Roma molte furono le critiche negative e l’opera venne liquidata frettolosamente come scherzo d’autore e progressivamente dimenticata dopo il successo planetario di Amarcord l’anno successivo.

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Andrea Minuz, giornalista e accademico, esperto felliniano, cerca oggi di analizzare Roma attraverso una ricostruzione minuziosa del composito background culturale e ideologico che si agita dietro il film. Il procedimento richiama consapevolmente la frammentazione felliniana: nei diversi capitoli vengono citati aneddoti, fonti bibliografiche, contesti storici, vicende produttive e antologie critiche. Pezzo dopo pezzo prende forma un’opera eterogenea in cui ogni singolo frammento dà origine a un brano del film e in cui è fedelmente configurata l’involuzione di Roma dagli anni ’50 agli anni ’70, “da città abusiva a metropoli condonata”.

Si parte dalla locandina che tanto scandalo suscitò nel Festival di Cannes del 1972 e che vede raffigurata la modella nera Donyale Luna carponi e “tripopputa”, a mimare la posizione della lupa. Si scatenò l’ira delle femministe capeggiate da Eleanor Perry e il rapporto conflittuale con quel movimento si prolungò fino al controverso La Città delle Donne (1980). Minuz analizza poi le sorprendenti influenze dei “mondo movie” (che tanto successo ebbero alla fine degli anni ’60) sull’esotismo e sull’erotismo che innervano alcuni episodi del film, ben accompagnati dalle note sinuose di Nino Rota. Anche nella scena degli scavi in metropolitana con il volatilizzarsi degli affreschi a contatto con l’aria, rimane sempre evidente quel senso di materia oscura che deriva dalla penna di Bernardino Zapponi, co-sceneggiatore dei film di Fellini dal 1967 al 1980 (escluso Amarcord, sceneggiato da Tonino Guerra). L’incontro tra Zapponi e Fellini è determinante per capire l’atmosfera rarefatta che fa apparire Roma come una città spettrale. E allora: recuperando la sceneggiatura originale dagli archivi della Cineteca di Rimini, si scopre che erano previsti altri due capitoli “Il Camposanto” e “La Circolare Notturna” a rafforzare questa sensazione di elegia funebre della città.

Anche nelle scene apparentemente più gioviali – come quelle del bordello o delle grandi tavolate all’aperto – si insinuano echi di decadenza e perdita che creano ponti tra la Roma dei ricordi e quella contemporanea. Si nota sempre più marcato lo smarrimento di un artista che non si riconosce nella Città, la sua città. Il modo di raccontare di Fellini è ampiamente sperimentale (con suggestioni riprese dai Frammenti Capitolini di Franco Angeli, da Roma in Cocci di Vittorio Metz, dal Panopticon Romano di Mario Praz), senza un personaggio guida o una continuità narrativa. La scelta di escludere dal montato finale le scene con Sordi e Mastroianni (tenendo solo lo splendido commiato ad Anna Magnani), riflette proprio la volontà dell’autore di facilitare l’identificazione dello spettatore con un corpus urbano dalle fattezze mostruose.

Andrea Minuz ricorda poi al lettore/spettatore che il film attraversò una vera e propria catastrofe produttiva (con tanto di azioni legali e sequestro del libri contabili) alimentando il mito di un Fellini scialacquatore che pretende di ricostruire parte del Grande Raccordo anulare a Cinecittà. Anche la critica si scatenò contro il regista riminese parlando di “spettacolo buffonesco per una borghesia avida di finte magie e di giocolieri dello strano” e di “ennesima proiezione illusoria di una fantasia maschile irraggiungibile.” Nella seconda parte del libro Minuz evidenzia l’importanza della rielaborazione dei ricordi felliniani sotto forma di mito: le adunate fasciste, la statua di Giulio Cesare, gli spettacoli di cabaret all’Ambra Jovinelli, il bombardamento del quartiere San Lorenzo nel luglio del ’43, la fila nei bordelli popolari e in quelli d’élite. Attraverso lo sguardo grandangolare di Fellini tutti questi eventi perdono le loro definizioni reali per assumere le connotazioni deformate del sogno. Roma è, come acutamente osservato dallo scrittore Gore Vidal, la città delle grandi illusioni: il Cinema, il Governo, il Vaticano. Una città in cui il movimento contro-culturale hippie assume, oltre al ruolo politico, anche una paradossale valenza coreografica. Una città caotica, labirintica. Una città dalla quale osservare la fine del mondo.

Edito da Rubbettino per la collana Zonafranca, Fellini, Roma di Andrea Minuz è un’ottima occasione per immergersi nel contesto culturale, nei segreti e nei retroscena di un’opera decisiva per il suo autore e per il cinema italiano. Un film che attraverso lo sguardo profetico di un osservatore geniale riesce a trasfigurare la Città eterna in Città fantasma.

 

Fellini, Roma
di Andrea Minuz
168 pagine
Rubbettino editore
12 euro

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