#Female Pleasure, di Barbara Miller

#Female Pleasure utilizza i racconti di cinque donne di mondi lontani tutte vittime di prevaricazione che lottano per liberare la sessualità femminile dai tabù imposti da una struttura patriarcale

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Barbara Miller con #Female Pleasure è arrivata al suo quindicesimo documentario, molti girati per la televisione ed a stretto giro di tempo, a differenza di quest’ultimo progetto che nasce a distanza di sei anni dall’ultimo lavoro della regista svizzera, Forbidden Voices del 2012. E già aveva affrontato temi riguardanti la sessualità in Sex im Internet – Kinder schauen Pornos, Eltern schauen weg (Sesso su Internet – I bambini guardano il porno, i genitori guardano altrove).

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Stavolta lo sguardo è rivolto alle donne ed ai problemi inerenti ad uno status di genere che si riscontrano in molti ambiti, per indagare situazioni geograficamente lontane ma con una matrice di sopruso comune verso l’universo femminile. A dispetto di una parità soltanto sbandierata, restano in piedi sia i pregiudizi, sia un divario retributivo rispetto all’uomo. E soprattutto una paura del corpo stesso della donna, che trova a volte giustificazione nei passi della Bibbia, così come nel Corano e nella Torah, tra i seguaci di Buddha e i credenti devoti alla fede indù, a conferma che proprio alla religione possono attribuirsi i primi tratti di misoginia, anche, ma non solo, per una lettura integralista delle scritture sacre. Un’eredità millenaria, ben custodita e tramandata, rintracciabile nelle ramificazioni assunte dal fenomeno che ad oggi penalizza milioni di donne, perseguitate, violentate, minacciate, denunciate, vittime di una violenza forte della consuetudine al privilegio ed all’impunità.

Per affrontare punto per punto queste tematiche la Miller raccoglie le parole di cinque di loro, cinque storie che raccontano l’orrore come quella di Leyla Hussein, psicoterapeuta e attivista somala nata in Inghilterra, mutilata in nome dell’Islam all’età di sette anni (una pratica conosciuta come infibulazione), che lotta per eliminare una pratica barbara e diffusa anche nei paesi d’accoglienza.

O quella di Deborah Feldman cresciuta all’interno di un gruppo chassidico a Brooklyn e costretta ad un rapporto sessuale ed un matrimonio combinato a 17 anni dal quale è fuggita, di Rokudenashiko, pseudonimo di Megumi Igarashi, una manga artist costretta ad affrontare un processo per il suo lavoro sulla vagina, un’immagine considerata ancora pericolosa in Giappone. Di Vithika Yadav, un’attivista dei diritti umani indiana che ha creato Love Matters, un sito che fornisce informazioni su amore e sesso in un paese abituato a trattare la donna senza riguardi, dove lo stupro resta diffuso ed impunito e le unioni omosessuali considerate peccaminose (tematica affrontata a latere in una serie Amazon, Made in Heaven, basata sulla vita di Tara e Karan, due weeding planner di Delhi). Ed infine di Doris Wagner, entrata in convento giovanissima e costretta a subire il trauma dell’abuso sessuale.

Utilizzando il montaggio alternato le loro esperienze si incrociano sui loro corpi bullizzati, emerge la prevaricazione fisica e psicologica esercitata da una struttura patriarcale radicata che impedisce, tacciandola come vergognosa e sconveniente, con chiaro e subdolo intento inibitorio, di vivere pienamente la propria sessualità, libere finalmente dai tabù.

Se non a lieto fine, la battaglia è appena iniziata e la guarigione di certe ferite è impossibile, queste donne che compongono il ventaglio narrativo della Miller, sono in condizione di sentirsi in qualche modo affrancate e di poter pensare ad una controffensiva. Hanno sviluppato forza sufficiente per reagire e diffondere un esempio che possa aprire gli occhi ad una moltitudine conforme a modelli che, nonostante apparentemente abbiano fatto il loro tempo, trovano modo di rigenerarsi sotto altra forma, anche in quel mondo occidentale illuso di distanziarsi culturalmente dal resto del pianeta, eppure ancora schiavo di una visione altrettanto antiquata. Basta pensare all’industria del porno ed al suo riflettere quasi esclusivamente, o comunque in larga parte, una donna ad uso e consumo del maschio, generalmente sottomessa e ridotta ad un ruolo passivo. Un invito a ripensare la società dalle stesse fondamenta che coinvolge tutti, a prescindere dal genere.

 

Titolo originale: id.
Regia: Barbara Miller
Durata: 97′
Origine: Svizzera, Germania 2018

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.3

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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