"Femmine contro maschi", di Fausto Brizzi
Pur conservando la stessa struttura narrativa, il dittico brizziano mostra la propria specularità nella diversità di toni e sfumature emotive. Se il primo film esibiva a tratti una causticità tradotta nello sketch e nella battuta, talvolta greve, il secondo si rivela istintivamente "femmina" nella totale adesione al modello della commedia sentimentale, dove una vena malinconica percorre le diverse storie intrecciate, rinnegando le contingenze della cronaca e scegliendo un finale coraggiosamente romantico
La cicogna è volata via da tempo ma è ancora l'infanzia a veicolare il senso del dittico sulla guerra dei sessi firmato da Fausto Brizzi.
Femmine contro maschi racchiude il conflitto amoroso in una battaglia a rubabandiera che vede maschi e femmine in due schieramenti compatti e contrapposti, intenti a rincorrersi, a tendere le mani gli uni verso le altre, riuscendo a incontrarsi solo per un attimo.
È nella purezza e nella leggerezza di questa sequenza d'apertura che il film denuncia subito uno scarto rispetto al sarcasmo che animava Maschi contro femmine, più simpaticamente goliardico e incline alla gag.
Benché mantengano la stessa struttura narrativa, composta da quadri intrecciati secondo uno schema da “sei gradi di separazione” che lega tutti i protagonisti, nella diversità di toni e sfumature emotive i due film rivelano invece la complementarietà e la specularità della doppia operazione e la rispettiva adesione a un’ottica maschile o femminile.
Se Maschi contro femmine esibiva a tratti una causticità tradotta nello sketch e talvolta nella battuta greve – nel caso del personaggio di Pannofino o dell’episodio “giovanile” del trio Vaporidis-Francini-Ruffini – il secondo pannello è istintivamente “femmina” nella totale adesione al modello della commedia romantica, dove la risata viene sostituita da una vena malinconica che percorre, come e forse più che in Ex, le vicende dei coniugi separati Bisio-Brilli, intenti a ricostruire una parvenza familiare per amore della nonna Wilma De Angelis, ritrovando nella finzione i sentimenti andati smarriti; o nella sindrome di Peter Pan del duo Ficarra&Picone, teneramente avulsi dalla pragmaticità del quotidiano per vivere il proprio sogno beatlesiano.
Brizzi lavora sui corpi comici dei suoi protagonisti mantenendo lo sberleffo anarchico alle regole sociali – “siamo dei saltimbanchi”, sottolineava giustamente in conferenza stampa Luciana Littizzetto – ma accentuandone l’umanità, rendendoli persino commoventi nel proprio rivendicare la fantasia al potere, seppure di quello interno alla coppia.
È soprattutto il duo siciliano, e in particolare Ficarra, impagabile bidello-ragazzino, capace di rapportarsi alla pari con i suoi “compari” novenni, a incarnare lo slittamento in atto tra i due film da un’atmosfera sardonica connessa alla contemporaneità – in cui emergevano temi più prosaicamente legati all’oggi tra chirurgia plastica, divorzi aspri e l’assillo del sesso – a un mondo che rifiuta poeticamente la contingenza quotidiana, ricreando di fatto il proprio spazio-tempo: l’amnesia dello strepitoso Emilio Solfrizzi, che ricorda soltanto la sua “notte prima degli esami”, e la beatlesmania retrò di Ficarra e Picone con tanto di attraversamento di un’immaginaria Abbey Road piemontese, appaiono un affrancamento dall’immediatezza della cronaca quanto dalla supposta maturità dell’età adulta che finisce col dar luogo a “un universo dove la necessità dell’altro va di pari passo con l’impossibilità di costruire un rapporto che non sia falso, ipocrita o reificato”, come scriveva Chiacchiari nella recensione a Maschi contro femmine.
Femmine contro maschi contraddice l’assunto del primo film, recuperando con coraggio un finale realmente romantico, in cui uomini e donne riescono ad accettare l’altro non in virtù della maschera sociale ma malgrado questa, con un compromesso che giunge dopo aver messo alla berlina i difetti degli uni e delle altre, a turno carnefici e vittime. Il finale non fa che mostrare il cedimento e la caduta di queste maschere: quella del marito sciovinista (Solfrizzi), della compagna saccente (Littizzetto e Inaudi), dell’eterno immaturo (Picarra) in grado di dare al bambino innamorato l’unico consiglio vincente. L’intero film si muove su un confine estremamente labile tra realtà e finzione, attingendo alla pochade per capovolgere schemi, ruoli e situazioni, mettendo letteralmente i personaggi nei panni del proprio compagno, arrivando così per sottrazione alla loro essenza. Un rovesciamento che passa non solo attraverso i personaggi ma coinvolge gli stessi interpreti, chiamati a stravolgere i caratteri televisivi e a lasciar emergere toni più intimisti, come già accaduto a Lucia Ocone e Carla Signoris in Maschi contro femmine e qui a Luciana Littizzetto. Ed è proprio sulle donne che si concentra il (fortunato) paradosso dell’intera operazione, perché, pur lavorando a fondo sui personaggi maschili, che vincono per “possesso palla” sullo screening time concesso alle donne, la scrittura di Brizzi e Martani con Bruno e Pulsatilla appare particolarmente felice nell’offrire degli inediti ritratti femminili, ragionati e sentiti, arrivando poi a celebrarle, queste femmine, in coda, con lo scoppio emotivo che giunge sulle note di Vuoto a perdere, il brano di Noemi che libera le emozioni e conferisce alle donne l’ultima parola.
Interpreti: Claudio Bisio, Nancy Brilli, Salvatore Ficarra, Valentino Picone, Francesca Inaudi, Luciana Littizzetto, Emilio Solfrizzi, Serena Autieri, Wilma De Angelis
Origine: ITA, 2011