Ferdinand. Incontro con il regista Carlos Saldanha

Si è svolto oggi, alla Casa del Cinema di Roma, l’incontro stampa con il regista brasiliano Carlos Saldanha che ha presentato il suo ultimo film di animazione, Ferdinand. In sala dal 21 Dicembre.

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Si è svolta oggi, presso la Casa del Cinema di Roma, la proiezione in anteprima di Ferdinand, l’ultimo film del regista brasiliano Carlos Saldanha, mago dell’animazione in CGI di fama conclamata grazie ai ripetuti successi collezionati nel corso degli anni Duemila, dall’esordio con la fortunata saga de L’era glaciale – di cui il primo lavoro firmato insieme a Chris Wedge – per giungere agli spumeggianti Rio e Rio 2 – Missione Amazzonia.
Saldanha entra in sala sui titoli di coda del film, davanti a lui un copioso pubblico di bambini che lo accoglie con un caloroso applauso; è lui stesso a prendere la situazione in mano, chiedendo ai piccoli «Vi siete divertiti?». La risposta arriva immediata e spontanea, si erge appunto un coro di “sì” dalla sala, ma le domande dell’innocenza non tardano ad arrivare, e Saldanha sembra esserne divertito e piacevolmente sorpreso. «Perché un toro come protagonista?», è la questione – non troppo ingenua – con cui si apre l’incontro, quella a partire dalla quale il regista parla della sua volontà di raccontare al mondo la storia di un essere tanto grande e dall’aspetto pauroso, ma infinitamente gentile e buono dentro, diverso dagli altri della sua specie e per questo facilmente disprezzato, eppure sempre pronto ad aiutare un amico e a scegliere la strada della tenerezza, rigettando quella violenza che per un toro dovrebbe essere qualità innata. Si tratta per il regista di una storia semplice ma di estrema urgenza perché edificante, portatrice di un messaggio pacifista che attraversa ogni tempo, pubblico o generazione che sia.
Dopo l’incontro con i più piccoli, arriva il momento per il regista di discutere con la stampa degli aspetti più profondi della scelta di questo soggetto, ispirato al celeberrimo libro per l’infanzia di Munro Leaf – con illustrazioni di Robert Lawson –, uscito nel 1936 e sottoposto a un terribile regime di censura, bandito tanto dalla Spagna di Franco che dalla Germania di epoca nazista. Saldanha si rivolge ai giornalisti: «La prima domanda che un regista si pone è “Perché voglio fare questo film?” … Con Ferdinand non sapevo come, ma sapevo che era un film che volevo fare! È una sfida, ma se vale la pena la affronti». Ecco quindi una sorta di necessità che spinge il cineasta a intraprendere un percorso di lavorazione lungo e intricato, come per tutti i film di animazione; ma che, in qualche modo, egli svolge a ritroso, partendo dal “terzo atto”, perché ciò che lo interessava era non più la storia in sé, bensì il messaggio forte che ne era alla base, ossia che il toro avrebbe potuto uccidere il torero se solo avesse voluto usare la violenza. Una lettura superficiale potrebbe lasciare intendere tra le righe una sorta di opposizione ai soprusi sugli animali o contro lo spettacolo stesso della corrida a cui i tori vengono obbligati, ma Saldanha ribadisce l’unico intento a fungere da esempio di bene e oltrepassamento delle apparenze.
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Il rapporto tra il film e il libro di Leaf resta, dunque, molto profondo: Saldanha ricevette completa libertà nel corso del processo creativo e stilistico da parte degli eredi dello scrittore americano, ottenendone alla fine un concentrato di quelle emozioni che derivarono un tempo da quella lettura. Resta cruciale, tuttavia, il concetto di “interpretazione”: non solo quella che investì come un uragano il testo scritto – seppure solo in determinati ambienti culturali –, ma quella che potrebbe adesso accompagnarsi all’uscita del film. «Ne vuole fare un film politico?», gli si chiede. La risposta del regista è decisamente negativa: «No, solo un bel film», come a suo tempo si trattò (solo) di un bel libro; seppure, tra sorrisi ammiccanti, Saldanha si augura che il Presidente Trump abbia letto questa magica storia ai suoi figli (a buon intenditor…).
La conferenza si chiude analizzando un aspetto più propriamente tecnico del film, ovvero l’uso del colore: «Rio era tutto su colori dal forte impatto sull’occhio… Qui volevo colori che potessero toccare il cuore»; una tavolozza cromatica che rispecchia in qualche modo il Paese in cui si ambienta la storia (dai colori accesi del carnevale di Rio de Janeiro a quelli caldi e più miti della terra spagnola), e si fa motore della stessa, insieme all’immancabile cornice musicale. Infine, la bella sequenza onirica ad “acquerello in 3D”, si ispira ai vecchi poster delle corride fatti a mano, che Saldanha decide qui di riproporre con un randering che si camuffa da dipinto antico. Vecchio e nuovo si saldano inestricabilmente, in questo film che parla di valori universali e invita a una riflessione interiore «per capire dove vogliamo andare».

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