Ferite, di Vittorio Rifranti

Noir introspettivo e drammatico, dove la rabbia, a volte taciuta e a volte messa in mostra, fatica ad essere sempre coinvolgente

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Emanuele è un autore teatrale di mezza età che sta preparando il suo prossimo spettacolo, tratto da un romanzo incompiuto di Dostoevskij, “Netocka Nezvanova”. È in cerca della protagonista per il monologo in programma e durante il casting resta colpito in particolare da Irene, ragazza fragile, attrice insicura e bisognosa di conferme, ma allo stesso tempo una ragazza forte e determinata tanto da creare curiosità e un interesse che mescolano insieme sentimenti e lavoro. La vita di Emanuele è in solitudine, nonostante il suo fascino da intellettuale e le tante donne avute. Ha una stanza segreta a casa dove si mescolano i suoi fantasmi e le sue ossessioni, dove le fotografie ricoprono le pareti di ricordi, tra luci ed ombre sul suo passato. Emanuele custodisce un segreto in quella stanza in cui celebra un culto nei confronti di tre donne che ha amato veramente. Tre pareti, ognuna dedicata ad una di queste donne, solo la quarta parete è rimasta ancora vuota e viene animata dalla proiezione delle loro immagini. Irene si avvicinerà a quella stanza e potrà scoprire quale segreto si cela, magari immaginando di essere la protagonista della parete scoperta.

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“Essere innamorato è come essere ad Auschwitz” diceva Roland Barthes. Ferite, come quelle sul corpo di Irene, che fanno prima orrore poi diventano i segni su un corpo che comincia di nuovo a vivere, che si perdona, di cuori che riprendono a battere imparando ad amarsi e perdonarsi dentro. Ferite è un film che desidera abbracciare le cicatrici e gli ostacoli. Viene fuori un noir introspettivo e drammatico dove la rabbia, a volte taciuta e a volte messa in mostra, fatica ad essere davvero coinvolgente. Tra l’elettivo e lo spirituale, ancora una volta il cinema di Rifranti, al pari dei suoi lavori precedenti, è sempre avvolto in una toccante estraneità emotiva, un’empatia da conquistare con il duro lavoro della ricerca spasmodica del contatto agognato. L’attrazione è tutta, o quasi tutta, nell’apparente rigorosità del racconto, che si “macchia” durante il cammino di pulsioni non spiattellate ma evocate dalla quotidianità e i suoi indefinibili interrogativi. Non c’è dubbio che Vittorio Rifranti (al suo terzo lungometraggio, dopo Tagliare le parti in grigio, del 2007, miglior opera prima a Locarno, e I passi leggeri, del 2018) sia capace di mostrare una certa maestria registica, soprattutto grazie al lavoro fatto sulla fotografia e sull’uso del piano sequenza, ma le sue qualità restano spesso ingabbiate nel suo stesso talento, finendo per perdersi stavolta, più che in passato, nel circuito chiuso architettato intorno al suo personaggio principale, che vive di teatro e aspira ad abbatterlo, come quella quarta e ossessionante parete.

 

Regia: Vittorio Rifranti
Interpreti: Daniele Marcheggiani, Camilla Tedeschi, Fabrizio Rocchi, Giorgia Faraoni
Distribuzione: Independent Movie Distributions
Durata: 93’
Origine: Italia, Svizzera, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
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Il voto dei lettori
4.5 (4 voti)
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