FESTA FRANÇOIS TRUFFAUT – La signora della porta accanto

la signora della porta accanto
Abbiamo incontrato Odile Jouve, al suo circolo di tennis, vicino a Grenoble. Non è affatto cambiata, il suo è sempre lo stesso volto trasparente che porta impressa l’immagine delle passioni che ha vissuto e che ha raccontato. «Ma alla fine», ci spiega, «non c’è vera differenza, le storie del cinema hanno bisogno della vita e per vivere c’è bisogno delle storie del cinema»

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Abbiamo incontrato Odile Jouve, al suo circolo di tennis, vicino a Grenoble. Non è affatto cambiata, ha sempre dei bei fili argentei che le danno luce ai capelli, sicuramente un tempo corvini, come quelli di Mathilde, e sulla sua gamba, con la protesi di metallo che l’aiuta a camminare, porta ancora scritte le immagini di una drammatica storia d’amore, che risuona nella sua vita ad ogni suo passo. Proprio come allora, a Madame Jouve bastano poche parole per dare una consistenza quasi materica ai suoi ricordi. Il suo è sempre lo stesso volto trasparente, dove continua ad esser impressa l’immagine delle passioni che ha vissuto e che ha raccontato. «Ma alla fine», ci spiega, «non c’è vera differenza, le storie del cinema hanno bisogno della vita e per vivere c’è bisogno delle storie del cinema».

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Passeggiando tra i prati che costeggiano i campi da tennis dove vanno a cercare un po’ di svago gli abitanti di Grenoble, Madame Jouve ci racconta come attraverso una semplicità formale, che assomiglia quasi ad un rifiuto, Truffaut abbia dischiuso un universo passionale di incredibile potenza. «François Truffaut è andato sempre più cercando la purezza della forma, una trasparenza, appunto, che in una semplificazione dall’impianto via via sempre più classico, è capace di una stratificazione che diventa pura potenza evocativa. La storia di Mathilde e Bernard è un melò che non ha nulla di complesso, la signora della porta accantoil racconto è solidamente articolato in tre parti, proprio come le storie d’amore, destinate tutte ad avere un inizio, un centro e una fine. In questo caso, una fine che porta alle estreme conseguenze il senso di tragica inevitabilità che si respira in tutta la storia. Lo sguardo con il quale François ha ritratto quest’amore irresistibile e autodistruttivo, non è mai stato così discreto, così cristallino. Eppure è proprio grazie a questo magnifico equilibrio formale, che Mathilde e Bernard diventano Cinema capace di raggiungere, prendendo in prestito le parole di Deleuze, un’altra violenza, un’altra sessualità, molecolari, non localizzabili. D’altronde, per François il Cinema vuol dire prima di tutto stabilire un contatto».
Le chiediamo se lei, come noi, ha l’impressione che per Truffaut girare un film significhi anche continuare a passare le dita sopra la stessa cicatrice, la sua cicatrice e anche la nostra. Madame Jouve rimane in silenzio per qualche minuto mentre si accarezza lentamente la protesi metallica. Il suo sguardo è altrove, forse si tratta dello stesso altrove in cui Bernard era solito perdersi al pensiero di Mathilde. Poi sul suo volto appare l’accenno di un sorriso. «Non si tratta solo della passione vissuta da Mathilde e Bernard. Una delle cose più straordinarie di François, è che non può fare a meno di creare ogni volta una trama complessa e incredibilmente raffinata di rimandi testuali al suo Cinema e alle sue ossessioni, che poi, forse, sono la stessa cosa».
Ci viene da pensare, allora, anche alle tracce laterali che Truffaut ha disseminato lungo la storia di Mathilde e Bernard e che conducono verso alcuni di quei film che non ha mai smesso di amare. Madame Jouve annuisce e cita qualche titolo, Lo sconosciuto di Tod Browning, Gilda… «Dare il nome di Gilda ad uno dei modelli in scala delle barche guidate da Bernard, non è solo un omaggio all’opera di Charles Vidor, ma ripropone anche la figura di quel triangolo in amore che continua a ritornare nelle storie di François, quasi che il Cinema, quello che François ha amato e quello che ha fatto, fosse un lungo ininterrotto racconto. Attraverso Mathilde e Bernard, François torna poi di nuovo ad aprire il discorso sulla memoria, un discorso di vecchia data, che continua ad essere un elemento imprescindibile del suo Cinema. E’ proprio attorno al tema della memoria che si avviluppa la loro storia. E anche la mia. François non si è mai stancato di dire che il presente è continuamente attraversato dal passato, non ha mai smesso di immaginarlo come una superficie magmatica, che s’inarca e ribolle sotto il peso di quanto c’è sotto di essa».
la signora della porta accantoGuardando Madame Jouve, non possiamo fare a meno di ripensare alla sua fuga di fronte all’annuncio di un ritorno per lei insostenibile, quello del suo passato amore, e alla potenza delle immagini evocate dal racconto del suo tentato suicidio, fatto a Bernard poco dopo aver scoperto in Mathilde la sua nuova vicina di casa. «François ha un dono davvero speciale, il suo Cinema riesce a trasformare le parole in figure. La passione che dopo otto anni, per uno scherzo del destino, si riaccende tra Mathilde e Bernard, è costellata da continue incursioni nel ricordo. Si tratta di semplici racconti tra amanti, che rievocano la dolcezza, l’ingiustizia e la crudeltà del proprio passato, ma che François trasforma in un vero e proprio universo narrativo, capace di prendere vita al lato delle immagini».
Ci accorgiamo che si è fatto tardi, salutiamo allora Madam Jouve, ripromettendoci di passare presto a trovarla per continuare a parlare di François e di Bernard e Mathilde. Ma c’è ancora una domanda, lei deve averlo saputo fin dall’inizio, perché quando torniamo indietro, la troviamo ad aspettarci. Dobbiamo assolutamente sapere qualcosa di più di quell’”aspetta” che Bernard e Mathilde tornano più volte a scambiarsi, sussurrandolo nei loro momenti d’intimità. «Aspetta, aspetta. Aspetto… François una volta mi ha detto che si tratta di una dichiarazione d’amore. Senza amore non si è niente. Senza amore il Cinema non è niente».

Titolo originale: La femme d’à côté
Regia: François Truffaut
Interpreti: Fanny Ardant, Gérard Depardieu, Roger Van Hool, Henri Garcin, Monika Baumgartner, Véronique Silver
Origine: Francia, 198
Durata: 106’

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