FESTIVAL ALPE ADRIA – "Un film non va visto con il cervello, ma con tutti i sensi" L'omaggio ad Andrei Zulawski

Eccessivo, travolgente, determinato, Zulawski nel corso della sua carriera ha realizzato con passione l'idea di un cinema totale e senza compromessi che lo ha visto indagatore della realtà umana e della follia ma anche sperimentatore del linguaggio e delle sue possibili contaminazioni. Ma in Italia non ha quasi mai trovato distribuzione

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"Nella storia del cinema ci sono stati molti altri registi prima di me che hanno raccontato storie più  crudeli e più dure delle mie, se pensiamo a Joseph von Sternberg  a Erich von Stroheim o  a Sam Peckinpah ne avremo la prova". Con queste parole Andrei Zulawski ha aperto il dibattito che lo ha visto protagonista nell'ambito dell'omaggio a lui dedicato dal Festival Alpe Adria di Trieste. Un'occasione importantissima per conoscere l'idea di cinema di un autore che in Italia non ha quasi mai trovato distribuzione (se si fa eccezione per pochi film passati come meteore nelle sale del circuito commerciale) e che qui a Trieste si vede per la prima volta riconosciuto gli onori che merita. Eccessivo, travolgente, determinato, Zulawski, nel corso della sua carriera, ha realizzato con passione l'idea di un cinema totale e senza compromessi che lo ha visto indagatore della realtà umana e della follia (che rappresenta la parte più nascosta e più ricca) ma anche sperimentatore del linguaggio e delle sue possibili contaminazioni.

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Il regista di Femme publique e Possession ha parlato delle contraddizioni del suo paese, la Polonia, dove ha subito le pesanti ritorsioni della censura, che hanno costretto un film intenso e fortemente critico come Diabel (Diavolo, 1972) a restare bloccato e non visto fino all'88, oppure Na srebrnym globie (Sul globo d'argento, 1976) ad essere "incarcerato" e incompiuto per oltre dieci anni. Nel '73 il suo esilio in Francia durato, con brevi interruzioni, fino al '96, quando ritorna a Varsavia per girare il controverso Szamanka (La sciamana), pur non lasciando mai la Francia dove gira ancora il bellissimo La fidelitè (2000), quarto film interpretato da Sophie Marceau dopo L'amour braque (Amore balordo, 1985), Mes nuits sont plus belles que vos jours (Le mie notti sono più belle dei vostri giorni, 1989), e La note bleue (La nota blu, 1991).

 

Proprio La fidelitè rappresenta per il regista una tappa importante del suo cinema che si è fatto, dice, maturo e ancora più personale. "Nella mia vita c'è qualcosa che va oltre il cinema perché non si può prescindere dall'attitudine morale e dal coinvolgimento politico. Meglio se le due cose vengono fatte convergere. Il cinema è come una casa, divisa in molte stanze, tra cui una soffitta che costituisce la parte più misteriosa e nascosta". Importante, per comprendere la ricchezza dell'ispirazione di Zulawski, la convinzione che "un film non va visto con il cervello, ma con tutti i sensi. Il cinema, infatti, non è un  museo immobile ma un corpo che cambia in continuazione. La nostra percezione è diversa e mutevole, come la bellezza di una donna".


A lungo Zulawski si è anche soffermato sulla sua attività di scrittore che lo impegna per gran parte del suo tempo e che lui vede come alternativa indispensabile al cinema (e in occasione del Festival di Alpe Adria è stata presentata anche la prima traduzione italiana di un suo libro, il racconto dal titolo Barbablù).  "Per me cinema e letteratura sono due parti importanti che si compensano, come la mano sinistra e la mano destra. Non potrei fare il regista se non facessi anche lo scrittore. Le cose che non posso dire con il cinema  (perché il cinema attacca direttamente i sensi) le dico con la scrittura che è uno strumento più libero. Se hai la sfortuna di avere molte cosa da dire, il cinema non  può essere sufficiente". 


 


LINK


http://home.att.net/~zulawski/

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