Festival dei Popoli 63 – Incontro con Vèrèna Paravel

L’uomo, l’inconscio e l’inspiegabile. La regista racconta la propria visione del cinema e la collaborazione con Lucien Castaing-Taylor, dalle origini a Caniba, in occasione dell’omaggio a Firenze

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Con i loro quattro film immersivi, realizzati nel contesto del Laboratorio di Etnografia Sensoriale di Harvard (SEL), la coppia di filmmaker Lucien Castaing-Taylor & Verena Paravel (Caniba) ha ridisegnato i limiti del rappresentabile cinematografico, opere uniche, radicali e innovative. La Città Metropolitana di Firenze e Unifrance in collaborazione con Fondazione Sistema Toscana, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci hanno permesso una sezione Omaggio al Festival dei Popoli. Proiezioni dei loro film e un incontro a cui ha partecipato però solo la Paravel.

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Un’occasione che ha permesso di approfondire tutta la filmografia e il modo di lavorare dei due registi. Un rapporto di collaborazione che nasce dalla reciproca passione per l’antropologia.

L’antropologia ha il suo focus nel dare significato alle cose. Volevamo fare un cinema non propositivo, che vuole per forza spiegare tutto“. La Paravel sottolinea molto questo aspetto e per definire il senso del loro cinema fa riferimento al concetto di negative capability, espressione che usava Keats, che sta a significare lo stare nell’incertezza, nel dubbio senza per forza cercare una ragione. “Ogni scienza sociale ha sempre questa volontà di spiegare tutto il possibile. Tutto ciò che è simbolico deve essere spiegato. Il fatto di lavorare su immagini e suoni ci ha permesso di essere più liberi. Forse siamo più severi sulla dimensione estetica dei film perché andiamo più sulle pure sensazioni”.

Si parla poi del loro primo film, Leviathan, Girato nelle stesse acque solcate dalla baleniera Pequod di Melville all’inseguimento di Moby Dick, che porta in scena lo scontro collaborativo tra uomo, natura e macchina, il tutto ripreso con una dozzina di telecamere. Su questo particolare la Paravel ridendo racconta che all’inizio molte telecamere cadevano in mare e infine si sono affidati all GoPro.

E’ il turno poi di Somniloquies di cui Paravel afferma: “eravamo interessati al limite tra conscio e inconscio. Dion McGregor ha una storia incredibile. Tutte le notti parlava ad alta voce come nel filmato ed è stato stato registrato per sette anni dal suo compagno di stanza. Non ho idea di come montammo questo film, non volevamo danneggiare questo sogno ma trovare una sorta di astrazione”.

Si arriva poi a Caniba, forse il loro film più conosciuto, vincitore del premio speciale della Sezione Orizzonti. La storia vera dell’uomo che nel 1981 uccise la sua compagna di studi alla Sorbona, a Parigi, per poi mangiarne i resti per i giorni successivi.

Il volto è un elemento importante del corpo e forse è per quello che è molto presente. Nei nostri film il linguaggio non è esplicito e lasciamo al corpo esprimersi. Devi decifrare ogni cosa, è una storia quasi shakesperiana. Alla fine è forse un film più sulla fratellanza, fragilità, non sul cannibalismo. Volevamo focalizzarci sulle espressioni dei due fratelli, sull’idea di filmare qualcuno che prima era molto educato, docile ma di cui si può vedere al tempo stesso la sua perversione, il suo carattere manipolatorio. All’inizio cercavo di filmare tutto il corpo ma non ce la facevo, quindi mi sono concentrata sul volto”.

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