Festival del Cinema Africano, d'Asia e America Latina 18 – Concorso cortometraggi africani

SarahUn ricco panorama di opere anche quest’anno ha composto la sezione del Concorso cortometraggi africani. tredici opere rappresentative di molti Paesi, con una prevalenza dell’area magrebina del continente. La qualità delle produzioni è stata di tutto rispetto e si presentano buone le prospettive per il futuro.

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SarahTradizionalmente la manifestazione di Milano si è caratterizzata per la diffusione del cortometraggio come forma espressiva autonoma. Una apposita sezione dedicata al cortometraggio permette di fare risaltare le qualità di queste produzioni e la ricca presenza di registi, che accompagna i film, consente un dialogo diretto con il pubblico in ordine alle proprie scelte artistiche.

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La sezione di quest’anno contava tredici opere rappresentative di molti Paesi, ma con una prevalenza netta, come accade spesso, dell’area magrebina del continente.

Il cortometraggio non va considerato come una specie di palestra per gli autori che si faranno, ma opera che costituisce squarci di cinema autentico, e che misura, nella sua brevità temporale le capacità espressive dell’autore. Proprio in questo senso non sono stati pochi i film che hanno lasciato il segno durante questa diciottesima edizione, molti i motivi di interesse che nascono da queste opere.

La marocchina Khadija Leclère con il suo Sarah è sicuramente l’autrice che ha maggiormente affascinato. Si direbbe anzi che, proprio per la ricchezza dei temi e la carica emotiva, il film avrebbe meritato un tempo più lungo, una riflessione più estesa pur non restando intaccata la profondità dei sentimenti dai 15 minuti della sua durata. Una storia di sradicamento assoluto, un ritorno in Marocco per Sarah, che vive in Europa, segnato dall’incontro con la madre che non vede da tempo o forse non ha mai visto e che le chiede solo i soldi per costruire una casa. Un inconsolabile dolore accompagnerà Sarah lungo il suo ritorno e la sua condizione di emigrata sarà definitiva, non avendo più sentimenti da riversare sul luogo d’origine.

Ritroviamo in questa sezione, in veste regista e sceneggiatore, Samir Guesmi già attore essenziale di Andalucìa di Alain Gomis che non tradisce le aspettative. C’est dimanche! rimanda, non solo nel titolo al cinema di Truffaut, infatti riesce a coglierne i temi: l’adolescenza con le sue bugie e le sue paure, attraverso la storia di Ibrahim e del suo fallimento scolastico celato al padre che è invece orgoglioso di lui. Ibrahim troverà rifugio nel proprio adolescenziale amore per Fatou che, nonostante si senta tradita per un appuntamento mancato, lo accoglierà con affettuosa condiscendenza.

Di spessore non usuale anche il film dell’egiziano Karim Fanous che con Clean hands, dirty soap ci racconta la storia di Hadi che gestisce le pulizie di un bagno di un albergo, accudisce la madre, ma la sua vita routinaria, un giorno, ha una svolta. La visita occasionale ad un locale notturno gli cambierà la vita. La scelta di Fanous si centra sulla quotidianità del protagonista che trova scampo dalla reiterazione dei gesti nella fantastica immaginazione che i bassifondi di un bagno possono offrire.

Su un registro diverso Il Neige à Marrakech del marocchino Hicham Alhayat. Sui toni della commedia a tutto tondo, una divertente storiaC'est dimanche! che vede protagonista un anziano che vorrebbe andare in Svizzera a sciare. La negazione del visto induce i figli a fare si che una stazione sciistica dell’Atlante si trasformi in una della Svizzera. Tutto sembra andare per il meglio, ma il vecchio non è uno stupido. Insolito e accattivante  il film funziona per le sue argute trovate e per una sceneggiatura briosa e alquanto inusuale per il cinema di questi Paesi.

Su un piano più dichiaratamente politico sta Confession del ruandese Daddy Ruhorahoza, la confessione di uno stupro durante il genocidio è un atto di dolore coinvolgente e di grande impatto. Un delitto che fa eco a quelli più diffusi che sconvolsero il Paese, la memoria che rinnova il dolore per il Ruanda.

Altri titoli meritano menzione, Bon anniversaire  del marocchino Hichem yacubi e del francese Daniel Kupferstein che ha il pregio di guardare al proprio protagonista islamico con un occhio moderno e disincantato; Fooska del marocchino Samy Elhaj che, attraverso una storia ambientata in una scuola, la stessa già frequentata dal regista, ci racconta una storia di tradimento e di pregiudizio.

Un ricco panorama, come si intuirà, che dimostra la vitalità del cinema africano e la qualità delle produzioni che, anche grazie a quanto visto in questa occasione, è di tutto rispetto con buone prospettive per il futuro.

 

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