Festival del Cinema Africano, d'Asia e America Latina 19 – "Il cinema come tempo personale" – Incontro con Darezhan Omirbayev

Darezhan Omirbayev

Al regista kazako Darezhan Omirbayev il Festival di Milano dedica la retrospettiva dei suoi lungometraggi. Un autore riflessivo e misurato anche nella realizzazione dei film, dal 1988 ad oggi ha realizzato solo cinque film. Nell’incontro che ci ha dedicato ci ha parlato del suo percorso autoriale.

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Darezhan Omirbayev

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Ha un aspetto pacato e lo sguardo riflessivo, parla lentamente e quasi sottovoce. Darezhan Omirbayev non si sottrae alle domane e per lui ha molta importanza rispondere con precisione, senza improvvisare, rimandando magari la risposta a dopo una pausa, anche lunga, di riflessione. Forse è la sua formazione scientifica, forse è qualcosa di innato, ma le sue risposte sono tutte attente e mai casuali. Ha girato cinque lungometraggi che sono tutti presenti qui nella retrospettiva a lui dedicata.
Come è arrivato dalla critica cinematografica  a realizzare il cinema?
La mia formazione ad Alma Ata è quella della matematica e poi della cibernetica. Mio padre era uno scienziato. Era considerato prestigioso essere uno scienziato e a quell’epoca da noi la matematica era una materia che si insegnava molto bene. Da bambini mi piaceva molto disegnare. Si dice che a tutti i bambini piaccia disegnare, ma non è vero. Nella mia classe disegnavo solo io e un altro ragazzo che ora fa l’architetto. Intorno al terzo anno di matematica ho cominciato a guardare film e mi sono accorto che mi piaceva. Ho finito il corso di matematica e ho iniziato il lavoro di programmatore per circa un anno e mezzo. Mi è rimasto dentro il desiderio del cinema. È accaduto che abbia aderito ad una selezione di giovani che avevano il desiderio di entrare in un laboratorio di cinema. In verità poi non ho ritrovato un linguaggio comune con chi lo dirigeva. Poi mi sono iscritto alla facoltà di critica e storia del cinema. In realtà all’epoca mi ero sposato e vivevo ad Alma Ata e quella era una di quelle facoltà nelle quali si possono anche non seguire le lezioni. Ho quindi lavorato per qualche anno presso la redazione di un giornale che si occupa di critica cinema cinematografica che dava la possibilità di girare dei film. Così ho girato il mio primo cortometraggio July (Shilde) che durava 25 minuti. Ancora oggi questa rivista da la possibilità ai giovani cineasti di girare dei film.
In che modo e misura la sua attività di critica ha determinato le sue scelte artistiche?
Non mi è possibile cancellare questa parte della mia vita. Inevitabilmente la mia opera risulta influenzata da quella attività.
In che modo questa influenza si è maggiormente manifestata, dal punto di vista della scelta dei soggetti o da quelloKairat estetico?
(Ride…) Buona domanda… ho bisogno di un  po’ di tempo per pensarci.
Bene mi risponderà alla fine dell’intervista…
No… in verità ho bisogno di alcuni giorni…
Passiamo quindi ad un’altra questione. I suoi soggetti raccontano di solitudini. Quanto di questa solitudine le appartiene?
Probabilmente la questione è connessa al fatto di essere figlio unico. Ma più in generale credo che sia una condizione esistenziale dell’uomo moderno.
Nel suo cinema la struttura del tempo non è quella convenzionale. Qual è per lei il rapporto tra cinema e tempo?
Ho avuto già occasione di rispondere a questa domanda. Invidio molto le persone che vivono solo nel presente. Io penso invece sempre al passato e al futuro. Tutto questo voglio che si veda nei miei film. D’altra parte ogni regista ha il suo pubblico. Se un film piace a tutti significa che non ha un proprio “tempo personale”. Sono sempre perplesso sui film che raccolgono molto pubblico e se ciò accade questo è frutto del contesto sociale e non per i canoni estetici dell’opera.
Però non è che non ami i film in cui il tempo è lineare. Per esempio amo molto Pickpocket e magari in quel film sarebbe stato interessante vedere come sarebbe cambiato il personaggio se si fossero fatti vedere i suoi ricordi. Sarebbe stato interessante vedere che film ne sarebbe venuto fuori. Avrebbe acquistato un’altra dimensione e la storia forse avrebbe potuto essere anche più forte.
Come sceglie gli attori per i suoi film?
Nel cinema kazako nei film si usava scritturare attori professionisti. I registi della mia generazione hanno cominciato a prendere gli attori dalla strada e questo credo che serva a rispecchiare meglio la realtà
La materia del sogno è una costante del suo cinema. È una scelta precisa che serve a mostrare il mondo interiore del personaggio o tende piuttosto a rompere la linearità del racconto?
Gli psicologi hanno dimostrato che le popolazioni primitive e le persone felici non sognano. Ci sono tribù in Africa i cui componenti non hanno sogni e se per caso questo succede diventa un avvenimento per tutto il villaggio tanto da diventare racconto pubblico. Tutti o comunque la maggior parte delle persone facciamo dei sogni e questo è quindi un sintomo dei nostri problemi. Per quanto mi riguarda tento di dimostrare questo nei miei film. D’altra parte mostrare una persona che sogna è come mostrare una persona che guarda la TV, ma quella del sogno è una dimensione più intima.
 
Darezhan Omirbayev con Giuseppe Gariazzo durante l'intervistaChe rapporto ha con il cinema italiano?
Devo dire che conosco molto poco il cinema italiano contemporaneo perché non ho occasione di vederlo. Per quanto riguarda il cinema italiano del passato ho avuto modo di vederne tanto quand’ero all’Università, due o tre film alla settimana, e tra tutti quelli che mi hanno interessato sono stati Olmi, Pasolini e Antonioni. Amo meno Visconti e Fellini. Nel loro cinema trovo che esista una forte componente teatrale. Poi amo molto il cinema di Robert Bresson, ma anche Wim Wenders e soprattutto nel corso del tempo. A questo proposito voglio aggiungere che nella storia del cinema kazako la narrazione era statica e dopo avere visto quel film ho pensato che fosse giusto girare un cinema “in movimento”. Quel film peraltro, mi ha fatto riscoprire l’attualità del bianco e nero.
Legge la critica cinematografica?
Esisteva una sola rivista di cinema che dirigevo io e che ora ha chiuso. Purtroppo sui nostri giornali non c’è la consuetudine di dedicare uno spazio alla critica cinematografica. In realtà Kazakistan è difficile leggere critica cinematografica, anche negativa. Prima della perestrojka era più facile leggere la critica, le cose ora sono cambiate in negativo.
Ha dei progetti per il futuro?
Si mi piacerebbe fare un film sull’astrologia, su come i personaggi e il loro destino sono influenzati dagli astri. Mi sembra un’idea interessante, ma ancora non sono riuscito a raccogliere il materiale necessario. Ho in mente anche un altro progetto, realizzare un film su Delitto e castigo di Doestoevskij.
La ringrazio…
Non ho dimenticato la sua domanda, la prossima volta che ci incontreremo le darò la risposta.
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