FESTIVAL DI CINEMA – C'è del(lo sca)marcio nel cinema italiano

Go-GoTales di Abel Ferrara Mentre Sentieri selvaggi sta raccontando in diretta ogni giorno il corpo vivo del nuovo Torino Film Festival, ecco che due articoli, apparsi su Il riformista e Il manifesto, riprendono le fila di un dibattito che sulle nostre pagine ha imperversato tra gennaio e febbraio scorso. Proprio Enrico Ghezzi, di cui in quei giorni “di fuoco” reclamavamo il suo originale punto di vista, ha partorito, nove mesi dopo, un lungo articolo, uscito però “tagliato” su Il riformista di sabato 24. Lo pubblichiamo integralmente per i nostri lettori. Anche perché la “questione dei festival” in Italia non è affatto chiusa…

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Go-GoTales di Abel Ferrara Dello scamarcio nella ‘danimarca’ del cinema italiano: non è una constatazione sprezzante; se mai (oltre che una letterina a Nanni Moretti mentre si avvia il ‘suo’ festival di Torino) un tentativo accorato di trovare una dimensione shakespeariana al quieto e disperato paludarsi di un cinema che ancora ritiene di esser nato e voler vivere nella palude culturale di questo paese (che invece continua a essere un fascinoso e terribile laboratorio sociopolitico acrobatico -unico al mondo- della formicolante ‘stagnazione mutante’ che attende il pianeta globale sospeso tra la distruzione e il farsi museo di sé stesso).

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Cominciamo dal ‘festival’, certo la dimensione più propria e rivelatrice della situazione quotidiana. Sanamente indifferente al potere d’acquisto e alla pesantezza astratta del pil , il festival è la forma proliferante (vogliamo chiamarlo ‘prodotto esterno leggero’?) in cui si manifesta trionfa e dissolve qualunque vanità e ambizione culturale, esalazione ultima di essa. Da una parte si confonde con la disseminazione antica delle sagre paesane, dall’altra ribadisce ossessivamente la messa tra parentesi pubblicitario-esclamativa necessaria a qualunque cosa/idea per poter essere merce distinguibile nel mercato capitalistico dello spettacolo. Tanto che, dal festival della mente a quello della cioccolata, si aspettano, in ordine sparso a scelta, i festival del terrorismo della morte della fine, sempre che facciano in tempo a definirsi all’interno del festivalone/festivalino che è la vita stessa.

Caro Nanni, allora, perché hai ‘accettato’ (si deve dir sempre così) di dirigere il festival di Torino? Senza scossoni, con continuità tipica sabauda, era diventato il ‘maggior medio festival’ italiano, di gran lunga il migliore tra quelli dotati di visibilità mediatica (così si dice), soprattutto con le scelte insieme sagge e ultracinefile della gestione ultima di Turigliatto e D’Agnolo Vallan (ma anche i primi due anni della gestione Della Casa avevano segnalato un’onnivora vivezza). Go-GoTales di Abel Ferrara

Non si dice che la loro ‘direzione’ dovesse durare in eterno, il loro mandato certo scadeva (lo ricordi con notarile pacatezza). Fatto è che la palingenesi rivendicata dagli agguerriti nemici della linea Turigliatto/D’Agnolo Vallan (e del presidente fondatore Rondolino) proponeva fin dall’inizio una lista di banalità/velleità tipiche del circuito dei medi festival internazionali tutti uguali e dei sogni ricorrenti degli assessori (panorama culturale ampio e variegato, anteprime internazionali e ‘attenzione al cinema italiano’, cultura e industria (nella città della Fiat), antielitarismo, fino all’immancabile fondamentale tappeto rosso su cui scorrono nicolekidman e altri divi).

Il festival degli ultimi anni, gremito di pubblico curioso, con attenzione e sale piene anche per registi sottovalutati e marginali o di altissima eccentricità, non andava bene. Ci voleva, sullo sfondo del rosso tappeto che è il nuovo colore delle bandiere culturali della sinistra, un rinnovamento in senso ‘manageriale’ (?), un festival più inserito nella città, più anteprime internazionali e glamour, più visibilità mediatica infine e soprattutto.

Non ti stupisce (te lo dico con affetto), che dopo molti mesi di una ‘guerra torinese’ assurda ma rivelatrice (sbagliasti a considerarla bega locale), mentre il tuo nome veniva tirato fuori come disperato e inevitabilmente irresistibile colpo di teatro della linea Barbera/Della Casa, il Go-GoTales di Abel Ferrara festival si apra e sia ‘parlato’ e ‘seguito’ solo nel  tuo nome e grazie a esso, non per altra qualità intrinseca? Salvo naturalmente la piaggeria della stampa –non di regime, ma di quel piccolo regime che è la stampa- qualunque spettatore di festival curioso non può che notare la povertà e banalità delle ‘anteprime’, la nobile scontatezza delle retrospettive (da sempre il marchio estremo del festival di Torino, capace di proporre insieme Straub/Huillet e Romero o Ferrara, Friedkin e Sokurov, Emmer e Landis, Carpenter e Chabrol, De Oliveira e..), la rarità di novità eccentriche che ancora pullulano nel cinema, concentrate in una ‘zona’ (peraltro la sola sezione interessante) che fin dal titolo trasmette chiusura invece che le deviazioni feconde di Detours la sezione ‘free’ del festival turigliattiano).

Non ti sembra un po’ ‘poco’ che tutto si riduca all’osservarti curioso nel nuovo ruolo (conoscendoti anche solo un po’, ti immagino per fortuna sanamente deludente e riottoso rispetto alle aspettative e esigenze del marketing culturale), o all’attesa del tuo incontro di oggi con Wenders, che rischia di restare evento a priori (ricordiamoci  la flagrante delusione dell’incontro pubblico col grande Malick alla festa di Roma, con lui imbarazzato e annichilito, infine desistente dopo aver subito una presentazione scoopistica,tronfia quanto sincera, da fenomeno da baraccone)?.

Questa viziosa parentesi (me ne scuso) mi rammenta un altro tuo disagio sorprendente. Nei confronti appunto della concorrenza (difficile da sostenere, nella scelta di alcuni film nuovi o di maggior glamour) con la romana ‘festa del cinema’ opulentissima e trionfalmente veltronica. Di cosa ti stupisci, quando per anche veniale vanità ti concedi alla fabbrica di consenso che tutto (anche un povero festival di cinema) pare ormai dover essere. Con cinismo, tutto va bene, purché sia fatto di grandi numeri, e di cose clamorosamente visibili dall’elicottero, come quella bella lontana adunata di finegirotondo pochitanti anni fa  a san Giovanni in Roma, ricordi? E quandoGo-GoTales di Abel Ferrara non c’e’ nulla da vedere, e’ cosi’ bello in se’ il veder dall’elicottero che una delle responsabili della festa di Roma, direttrice del quotidiano della Mostra di Venezia, non riusci’ proprio a non sdilinquirsi di fronte ai canali e alle calli viste dall’alto, incensando a priori il programma del direttore Muller mediante un leggendario saintexuperiano volo sulla serenissima.

E’ inutile (finger di) litigare per un titolo o per un ospite in piu’ o in meno, o confrontare desolati i budget, se nulla si dice ne’ si fa contro una politica culturale a pialla, limatrice di differenze, cosi’ compiutamente mediatica da poter fare a meno di qualunque verifica, anche di quelle in base ai presupposti scelti e strombazzati. Cosi’, l’innegabile modestia dell’afflusso di pubblico quest’anno a Venezia, notata da un solo giornaletto di provincia, Le Monde, in un articolo peraltro elogiativo, e’ passata sotto silenzio, essendo questa edizione quasi esclusivamente destinata a condensare e a rafforzare il consenso. Nessuno ha ripreso la ‘non-notizia’, e a finefestival mancavano i dati (di solito dilaganti non appena si fosse registrato uno spettatore o mezzo giornalista straniero o un alluce di divo in piu’). Mentre la piu’ mitica e antica Mostra d’Arte Cinematografica del mondo, ancora quella veneziana, si illustra durante l’anno con comunicati che elencano estasiati e puntigliosi il numero di Oscar e di altri premi vari guadagnati dai film da lei presentati, quando forse potrebbe e certo dovrebbe essere il contrario.

Go-GoTales di Abel Ferrara Certo son minuzie, ma restano solo quelle, e non serve stracciarsi cacciarianamente le vesti se si accetta la logica smielata e millefiori dei cento fiori/ cento festival, non resta alcun appiglio per giocare a mutare le regole e il gioco stesso. Tutto scivola via liquido (per primi i film e il cinema), senza un progetto che non sia meramente tecnico/professionale (come se tutti i festival possedessero il quasi automatico e insieme forzoso potere addensante di Cannes, indipendente dalla qualita’), nel tessersi e ritessersi di un sottile velo deformante (diciamo: alla ‘Bella Gioventu’’) dove il confronto e’ gia’ spento e deciso e inutile da subito.

Proprio per questo, basterebbero pochi segni a scuotere la torpidezza della situazione, a riscattare la risibile eccitazione festivaliera, a far perdonare lo sbrilluccichio inane e vano che si ammannisce ai ‘giovani’ invece dell’immensa vanita’ malinconica del cinema. Che so, a proposito di Scamarcio:  fare un bell’incontro per capire come mai lo stupendo Go-GoTales di Abel Ferrara (in cui il nostro e’ una presenza minore ma fascinosa), film italiano newyorkese apolide come tutti i grandi film, sia per ora scomparso, mai distribuito dopo il rapido passaggio a Cannes. O inventarsi una ‘retrospettiva’ (nel paese piu’ spettacolarmente e apertamente ‘intercettato’, e non a caso incapace di lavorare sul soggetto con film paragonabili ai non eccelsi ma intensi e intensamente politici Le vite degli altri o Il buon pastore) sull’idea di ‘spionaggio’ quale essenza del cinema. Go-GoTales di Abel Ferrara O neanche questa e’ la questione, e certo non le buone intenzioni, tipo: retrospettiva (agiografica, ma con molti film da vedere) sul western all’italiana, che si affloscia inerte per il mancato arrivo dell’unico vero alibi/padrino culturale dell’operazione, Quentin Tarantino. Ecco, si tratta proprio di sudditanza triste, di mancanza di autostima di tutto il ‘sistema cinema’ italiano (chiamarsi cosi’ e’ il suo unico impagabile orgoglio). Mendicare sussidi, chiedere poco, limitarsi a un atteggiamento sindacale (in se’ da appoggiare come la lotta di qualunque maestranza in via di sparizione), imitare in ritardo modelli stranieri di assistenza e di finanziamento gia’ superati, liquidare come bega da cortile lo sterminio brutalmente soffice di una rara politicita’ cinefilofilmica e poi dedicare inchieste e primepagine a un’ improvvisata e sintomaticamente non ingiustificata disistima tarantiniana del cinema italiano ‘oggi’.           

Mentre si puo’ e si deve sputare cinema e immagini (utopiche in se’, nella loro fragilita’ inane, nel loro umanissimo dipendere automatico da tutto quel che vi si impiglia e le forma) e parole in faccia 

Alla crisi globale. Fare il bello l’estremo il fiammeggiante, non perche’ renda o vada in pareggio o ‘perda poco’, ma perche’ manifesti in se’ il barlume o il crepuscolo di una vita nova assente. Sprecando forse e chiedendo di piu’ e a pioggia, sprecandosi di piu’, rischiando di proporsi quale ‘forma di vita’, invece che essere il catalogo triste e museale di situazioni insieme banali e mai vissute.

(1-   si , Nanni, continua; finche’ siamo qui?)

 

enrico ghezzi

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