FESTIVAL DI ROMA 2008- "Le plaisir de chanter", di Ilan Duran Cohen (concorso)

Le plaisir de chanterÈ di nuovo festival per il regista francese che, dopo Venezia61, torna in Italia con una bizzarra spy story dove a contare, più che lo spionaggio, è la rincorsa alla felicità. In un melange di generi che strappa il sorriso.
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Le plaisir de chanter

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Mauriel e Philippe, amabile coppia di agenti segreti, sono sulle tracce di una chiave usb contenente importanti informazioni sul commercio di uranio. A nasconderla è Constance, bizzarra vedova di uno scomparso trafficante, che li condurrà ad un singolare corso di canto lirico, i cui allievi sono tutti alla caccia dello stesso obiettivo.
Commedia dai toni pacati e autoironici quella di Ilan Duran Cohen, che gioca sull’equilibrismo dei generi. Ma se il funambolismo stilistico esercita sempre una certa attrazione, qui la bilancia pende nettamente dalla parte della commedia romantica. O anti-romantica, come precisa l’autore. Con il pretesto dell’accavallarsi di più situazioni tipico dello spy movie, il film si popola, lungo il dipanarsi della narrazione, di una serie di personaggi in cerca d’amore che, messo da parte un ostentato cinismo, mostrano agli altri desideri e debolezze. Da qui la presenza insistente dei corpi dei protagonisti, la cui nudità ostentata diviene il grido sensuale di chi, perso nel gioco dell’inseguimento, cerca in realtà la propria identità. Da improbabile covo di spie a ben più credibile ritrovo per cuori solitari, il corso di canto si delinea dunque come luogo in cui fare i conti con se stessi, un confortevole nido estraneo all’ipocrisia del quotidiano dove i personaggi apprendono, prima ancora del canto, l’arte di seguire i propri desideri.
 Come in Les Petits Fils, vincitore della sezione orizzonti all’edizione 2004 del Festival di Venezia, anche qui l’autore sceglie di affiancare attori alle prime armi a professionisti, così da creare sul set alchimie inedite che, seppur rischiose, permettono di lavorare meglio sui rapporti tra personaggi. E questo è in effetti un film di ruoli più che d’intreccio, nonostante gli spunti tematici si prestino particolarmente ad un lavoro su più livelli. Spicca la particolarità dei dialoghi, che oscillano tra lo stralunato e il rivelatore: unico limite è dunque l’aver relegato a livello epidermico le potenzialità che un lavoro trasversale può offrire, in una sorta di smarrimento stilistico che trova espressione nella lentezza dei tempi, poco consona ai generi trattati.
 
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