FESTIVAL DI ROMA 2010 – "Le cose che restano", di Gianluca Maria Tavarelli


Approda direttamente in tv ma sarebbe da vedere tutto d'un fiato. Il cinema di Tavarelli, come si è visto nell'ottimo Paolo Borsellino (uno dei migliori esempi di cinema-tv civile degli ultimi 20 anni) non ammette pause. Le rifiuta, sembrano sfiancarlo. Anche perchè è un cinema molto emotivo, che va più di pancia che di testa e qui è supportato anche dalla solida scrittura di Rulli e Petraglia. Attori in gran forma con Fantastichini, Santamaria e Amato su tutti. Se è televisione è grande televisione. Se è cinema è grande cinema.

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Non avrà la stessa sorte distributiva di La meglio gioventù di Giordana, arrivato in sala in due parti. Le cose che restano (il titolo è tratto da una poesia di Emily Dickinson) approderà direttamente in tv su Rai Uno in quattro puntate. Eppure questo è uno di quei film da vedere tutto d'un fiato. Al massimo si può dividere in due parti per creare quella specie di attesa sul seguito. Del resto, anche se si guarda un altro film del regista realizzato per la tv, l'ottimo Paolo Borsellino (uno dei migliori esempi di cinema-tv civile degli ultimi 20 anni), si è potuto vederne la grandezza soprattutto dopo l'uscita in dvd. Il cinema di Tavarelli non ammette pause. Le rifiuta, sembrano sfiancarlo. Anche perchè è un cinema molto emotivo, che va più di pancia che di testa (e in questo senso va inquadrato anche l'incompiuto Non prendere impegni stasera) e se poi è supportato da una sceneggiatura solida come quella di Rulli e Petraglia (proprio gli stessi sceneggiatori di La meglio gioventù) può diventare esplosivo. Oggi Tavarelli è forse uno dei cineasti italiani che sappia filmare le derive sentimentali con maggiore intensità. Quest'anno soltanto lo straordinario La prima cosa bella di Virzì (che cresce ancora nel tempo, proprio come Antonio Pietrangeli che non conosce età e al momento già smuove qualcosa rivedendo un primo piano su Mastandrea, sentendo la cover o guardando la locandina) ha una leggera marcia in più. Ma nel modo di portare sullo schermo le infinite trame familiari (il non-detto tra padre e figlio che riporta al rapporto Burruano-Germano del vibrante Liberi), nel dare forma al dolore, nel vedere/mostrare continue chiusure/aperture, il suo cinema è molto vicino a quello di Desplechin. Magari lui è meno fisico e più sentimentale, ma l'impatto è ugualmente devastante. La vita di una famiglia borghese romana viene scossa dalla morte del figlio minore. Nora (Paola Cortellesi), Andrea (Claudio Santamaria), Nino (Lorenzo Balducci) e il padre Nino (Ennio Fantastichini) cercheranno, ognuno a modo loro di ritrovare la strada dopo essere stati scossi e disorientati dal tragico evento. La madre invece si rintana in se stessa non riuscendo ad affrontare il lutto. Nella loro vita intanto entreranno altri personaggi che portano le loro esistenze a svolte improvvise.   

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La storia non attraversa decenni come nel film di Giordana ma un periodo più limitato. Nel corso del tempo però Tavarelli mostra le mutazioni soffermando anche l'attenzione sulle cose che restano, après la vie. E lo sguardo del cineasta si sofferma spesso anche sugli oggetti: la tavola da disegno di Nino, il vocabolario di Lorenzo e soprattutto la macchina dell'incidente. La scena in cui viene tirata fuori dal garage e rimessa alla meglio da Nino e Shaba è uno dei più intensi el film. Eppure in un film così intimo, così dolentemente e affettuosamente prvato, Tavarelli ha un'invidiabile senso della misura nel mostrare anche il rapporto gay tra Andrea e Michel, uno dei più veri del recente cinema italiano o anche tutta la storia di Shaba che s'imbarca clandestinamente per ritrovare la figlia Alina è un altro "film nel film", altra vicenda di famiglia privata che si apre all'esterno sotto lo sguardo degli altri proprio come Paolo Borsellino. La macchina da presa smaschera spesso i loro volti, ciò che sentono dietro ciò che vogliono mostrare. La crisi coniugale di Nora  sembra replicare quella di Claudia Pandolfi in La prima cosa bella e s'intreccia con quella del professore di architettura (Vincenzo Amato) con la moglie. Lo sguardo di Tavarelli sta su di loro. Discreto e complice. In attesa di successive aperture, rivelazioni, cambiamenti. La famiglia si svuota prima e si riempie poi. Il corridoio della casa ne segna i passaggi prorio come in La famiglia di Scola, segno ancora di un ambiente che vive in simbiosi con le figure. Lì tutto si trasforma, diventa altro ma recupera vitalità. Una storia di morte e rinascita. Con attori al meglio della loro forma (Santamaria, Fantastichini e Amato su tutti ma molto bravi anche Cortellesi, Balducci, Liskova, Rahouadj, Scianna, Fortuna e la Giordano) che Tavarelli ha trascinato dentro questa storia forse senza che se ne accorgessero. Se è televisione è grande televisione. Se è cinema è grande cinema.

Regia: Gianluca Maria Tavarelli

Interpreti: Paola Cortellesi, Claudio Santamaria, Lorenzo Balducci, Ennio Fantastichini, Daniela Giordano, Farida Rahouadj, Alessandro Sperduti, Vincenzo Amato, Antonia Liskova, Francesco Scianna, Leila Bekhti, Corrado Fortuna

Distribuzione: Rai Trade

Durata: 352'

Origine: italia, 2010

 

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