FESTIVAL DI ROMA 2011 – "Circumstance", di Maryam Keshavarz (Extra – Fuori concorso)


Il corpo e lo sguardo. Questi i due elementi principali del film della Keshavarz. Da una parte, il corpo come strumento di ribellione, elemento sovversivo che riempie le immagini di dettagli, le rende sature con la sua fisicità e i suoi colori; dall'altra, un occhio astratto e orwelliano che ha sconfitto il corpo, rendendolo schiavo di ideali che non gli appartengono.    
 

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CircumstanceUn corpo sensuale che balla su una musica orientale, pelle direttamente a contatto con la macchina da presa in tutta la sua carnalità e un incrocio di sguardi consapevoli, complici, carichi di desiderio. Sin dalle prime immagini, Circumstance, film d'esordio di Maryam Keshavarz, ci dà la chiave di lettura di questa storia d'amore proibito e impossibile. Atafeh e Shireen sono due giovani liceali nella Tehran contemporanea. Le loro mani si sfiorano, raccontano una storia a sé, mentre i loro volti rimangono impassibili durante l'appello a scuola. La prima è figlia di una dottoressa e di un uomo influente in città; la seconda vive con la nonna e lo zio dopo la scomparsa dei genitori, intellettuali vittime del regime. Attorno una città che di giorno si nasconde come loro dietro le convenzioni e le regole imposte dall'alto, ma di notte rivela un altro volto, divenendo complice delle loro avventure. Ed ecco che tolta la severa divisa scolastica, le due si trasformano in corpi ribelli, succinti in corti abiti, scossi dalla musica da discoteca, dall'alcool e dalle droghe. Con i loro amici doppiano Milk e Sex and the City, si lasciano trascinare in folli incontri, però, una volta sole, si  abbandonano a sogni e desideri, troppo forti anche per loro stesse. Ma il loro rapporto è destinato alla tragedia con il ritorno di Mehran, fratello di Atafeh, ex ribelle, ora asservito alle politiche del regime e delle religione. Sarà lui a inserirsi tra loro, a incrinarne la relazione, mettendo in pericolo le loro stesse vite e trasformando l'ambiente familiare.

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Il corpo e lo sguardo. Questi i due elementi principali del film della Keshavarz. Da una parte, il corpo come strumento di ribellione, elemento sovversivo che riempie le immagini di dettagli, le rende sature con la sua fisicità e i suoi colori, come nelle sequenze che esprimono i sogni delle ragazze, in cui carnose bocche dai colori accesi si sfiorano sensualmente, emergendo da uno sfondo monocromatico e tentando di andare oltre i confini dell'immagine stessa. Dall'altra, il corpo estraneo di Mehran, che s'inserisce a forza tra le pieghe e piano piano pervade di sé ciò con cui viene a contatto. Il suo non è un corpo fisico, fatto di carne, come quello di Atafeh e Shireen; anche nei momenti in cui questa componente potrebbe emergere, rimane sfuggevole, un corpo che non si lascia afferrare poiché, essenzialmente, Mehran è puro sguardo, un occhio che osserva con sospetto le due giovani, che desidera esso stesso Shireen e che diventa strumento di uno sguardo più grande, ancora più astratto. L'occhio di Mehran viene, infatti, filtrato da quello delle telecamere nascoste con cui spia la sorella e l'amica, Grande Fratello orwelliano, e, sempre più, ne frena la vitalità, blocca oppressivamente i corpi all'interno dell'inquadratura, sostituendosi alle immagini del desiderio. L'unico modo per riconquistare la propria libertà e la propria fisicità è la fuga, ma ormai anche quella sembra inefficace. Lo sguardo ha sconfitto il corpo, rendendolo schiavo di ideali che non gli appartengono.    
 

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