FESTIVAL DI ROMA 2011 – "Dragonslayer", di Tristan Patterson (Extra – L'altro cinema)


Vita da skater. Il documentario di Tristan Patterson Dragonslayer è un’intrusione autorizzata nella vita di Josh Sandoval, detto Skreetch. Nonostante il documentario, per costituzione, non intende schierarsi ma semplicemente riportare un realtà oggettiva, lo spettatore non può esimersi dal trarre conclusioni inequivocabili. Rimarcate con forza da un finale che lascia poco alle fantasie poetiche da skater

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Vita da skater. Il documentario di Tristan Patterson Dragonslayer è un’intrusione autorizzata nella vita di Josh Sandoval, detto Skreetch. La sua filosofia, condivisa con un mondo che è più vicino a una casta che a una categoria di genere umano. Una casta in cui si sceglie di entrare, anche se forse non se ne può fare a meno. Perché qualcosa dentro ti spinge a sposarne ideali e stile di vita. Per alcuni può essere una moda passeggera, vero; ma una persona esterna non può davvero capire fino in fondo quel mondo, troppo distante dalla normalità comunemente accettata. Facile il rischio di salire sul pulpito e predicare, disprezzare, compatire. È come una malattia, sia pur in accezione non necessariamente negativa; è dentro di te, non puoi farne a meno, non è colpa tua. E guarirne non è semplice, si può mitigare ma uscirne definitivamente è pressoché impossibile. 
Fortemente influenzata dalla cultura punk (ma anche grunge e metal), dall’abbigliamento, ai tatuaggi, i piercing, la musica al desiderio sfrenato di libertà; ogni segno contraddistintivo indica il grado di appartenenza. Ci si riconosce fra simili e si fraternizza. Le piscine vuote, i parchi; prendere in mano lo skate e farselo passare sotto i piedi, iniziare a volare sul cemento, impavidi, rovinati dalla cadute, deformati dai mille capitomboli. Il vagabondaggio continuo, cittadini del mondo alla continua ricerca di luoghi dove poter essere sé stessi. Dove poter incontrare persone con cui condividere quel modo di essere.
Perché Tony Hawk è uno, la fama, i videogames, i libri. No, è un caso forse unico in mezzo alla povertà e l’arrangiarsi costantemente. Sì supportati dagli sponsor, che permettono di tirare a campare, fra viaggi on the road e posti letto, le tende rimediate da amici in giro per gli States. Come fa Skreetch.  Uno sbandato, perennemente fatto, nicotinadipendente; un figlio a carico che lascia alle cure della ex-moglie per inseguire il brivido dell’avventura.  Ma allo stesso tempo incosciamente alla ricerca disperata di contatti umani, nel ricordo asettico della moglie, nel rapporto apaticamente simbiotico con la sua ragazza Leslie, a quel tenero bisogno di dispensare affetto paterno ad un figlio verso cui si sente già in debito, nonostante i suoi pochi mesi di vita.
Il film è un’immagine realistica ed impietosa su un mondo poco sponsorizzato e di cui, almeno qui in Italia, sappiamo poco e niente. Nonostante il documentario, per costituzione, non intende schierarsi ma semplicemente riportare un realtà oggettiva, lo spettatore non può esimersi dal trarre conclusioni inequivocabili. Rimarcate con forza da un finale che lascia poco alle fantasie poetiche da skater.

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