FESTIVAL DI ROMA 2011 – "Page Eight", di David Hare (Focus UK)


Johnny è un agente vecchia maniera così come David Hare è un drammaturgo vecchia scuola. La storia sembra procedere per improvvisazione come una partitura jazz, ma ha in realtà alla base uno schema ben preciso, classico, che si accompagna a una regia aeriforme. Un prodotto impeccabile e rassicurante, che sa di altri tempi

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Page EightUna soffusa musica jazz pervade l’aria mentre la macchina da presa attraversa leggera le strade di una Londra notturna che prende vita da uno schizzo in bianco e nero. C’è un qualcosa di affascinante in questo incipit e, al tempo stesso, una sensazione di sicurezza che sembra confermata non appena il volto invecchiato, ma sempre con quel guizzo di furbizia di Bill Nighy appare sullo schermo. Johnny Worricker è un vecchio agente dell’MI5, uno che la sa lunga su come va il mondo e che s’insospettisce al minimo movimento, come anni di esperienza gli hanno insegnato. Mentre tutti si accorgono che il mondo sta cambiando attorno a lui, tranne il suo più caro vecchio amico Benedict Baron (un immancabilmente sagace Michael Gambon), il capo dei servizi segreti, Worricker si ostina ad affidarsi ai suoi istinti e alle sue conoscenze e forse, anche per questo, è l’unico a preoccuparsi di una nota in fondo alla pagina otto di uno scottante dossier, che metterebbe in grande imbarazzo Downing Street. Johnny è in sostanza un agente vecchia maniera così come David Hare, regista e sceneggiatore di questo prodotto realizzato per BBC Two, è un drammaturgo vecchia scuola, classico, rassicurante, tanto quanto l’incipit.

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La storia narrata da Hare si dipana come una partitura jazz, sembra procedere per improvvisazione, in modo ondivago, seguendo da vicino gli spostamenti di Johnny, un personaggio che sembra non avere punti fissi: più volte divorziato, padre assente, nonostante sia chiaro il forte affetto che lo lega alla figlia, solitario. La sua unica certezza sono i quadri che colleziona, e di cui riempie il suo appartamento, insieme alla musica. Worricker si muove nella città facendo perdere le proprie tracce, in cerca di indizi, coinvolgendo la sua vicina di casa, Nancy Pierpan (una meravigliosa Rachel Weisz), come se non avesse un piano. Ma l’agente, in realtà, ha un obiettivo ben preciso e qualsiasi azione, per quanto casuale possa apparire, sembra portare in quella direzione. Uno schema pianificato alla base, quindi, mascherato dall’apparente casualità che si rispecchia sia nella scrittura che nella regia di Hare. Page Eight è un film che si rifà alle più classiche storie di spionaggio, dai vari agenti all’Havana o gli americani tranquilli di Graham Greene a Ipcress, caratterizzato da una britishness che informa di sé qualsiasi elemento e qualsiasi inquadratura. Hare, come nelle sue pièce, lascia che i personaggi parlino da sé – e la maggior parte delle volte lo fanno con uno humor tagliente – li segue silenziosamente con una regia aeriforme, che si nasconde dietro i primi piani del protagonista, andando a costruire una storia dal sapore classico. Rassicurante, dicevamo prima, ed è proprio questa sensazione che rimane alla fine del film, davanti a un prodotto impeccabile (che mai si vedrebbe sulla TV nostrana), ma che sa di altri tempi.    
 

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