FESTIVAL DI ROMA 2011 – "Someday This Pain Will Be Useful To You", di Roberto Faenza (Fuori Concorso)

Adattando il bel romanzo di Peter Cameron Un giorno questo dolore ti sarà utile, Roberto Faenza è il terzo regista italiano che si confronta con l’America ferita post 11 settembre. Ma il suo è uno sguardo impaurito, timido, indeciso, che anestetizza l’immaginario americano in una veduta da cartolina metropolitana: non c’è sangue, passione, Vita in queste inquadrature e il film finisce per essere l’ennesimo compitino di un europeo in trasferta senza infamia e senza lode

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Someday This Pain Will Be Useful To You, di Roberto Faenza"Se davvero avete voglia di sentire questa storia…" — J. D. Salinger ne Il Giovane Holden

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J. D. Salinger aveva già capito tutto. Erano i lettori (spettatori?) il fulcro delle sue parole, il cuore delle sue tormentate iperboli, quei bambini/giocatori nella segale da salvare sulla soglia del baratro. E allora si/ci chiede subito: “ti interessa ancora?”. Tanta, tantissima letteratura americana successiva si muoverà in quel piccolo magico perimetro emotivo tracciato dal maestro, come i suoi giovani discepoli odierni Dave Eggers, Jonathan Safran Foer o Peter Cameron. E guarda caso tutti e tre vengono puntualmente saccheggiati dal Cinema: forse perché al Cinema interessa ancora. Ultima trasposizione in ordine di tempo è Un giorno questo dolore ti sarà utile, sorta di "prenditore nella segale" post 11 settembre: un nuovo Holden Caulfield la cui solitudine non è più errante e tutta interiore, ma immobile e gioco forza esteriore. Un presente intasato da isterismi sessuali, cieche ambizioni e life coach da seguire come guru, con internet rimasto l’unica vera finestra/frontiera sul Mondo. Tutta la noia di questo vivere negli occhi di un altro diciassettenne in crisi: di questo parla il bel romanzo di Peter Cameron. E poi arriva il cinema. Roberto Faenza (qui alla sua seconda esperienza americana dopo il lontano Copkiller del 1983) riesce a portare sul grande schermo (e con un cast di primordine) la storia dell'adolescente James Sveck, seguendone passo passo le disavventure e tutto sommato distaccandosi di poco dal testo di partenza. Ma, paradossalmente, uno dei problemi più evidenti di questa trasposizione sta proprio nel come si maneggia l’immaginario americano, nel come si decide di approcciarlo e trasporlo. Insomma: nel come si guarda. 

 

Someday This Pain Will Be Useful To You, di Roberto FaenzaPerché se Gabriele Muccino emigra in America a cercare la sua felicità mimetizzandosi nel genere hollywoodiano e imponendosi uno sguardo all american; se Paolo Sorrentino piomba nelle Road statunitensi portandosi nella sua pesante valigia tutto l’arzigogolato e barocco sguardo da uomo in più del cinema europeo; Roberto Faenza, invece, rimane letteralmente bloccato sulla soglia. Il suo è uno sguardo impaurito, timido, indeciso, che anestetizza l’immaginario americano in una veduta da cartolina metropolitana appesa sul frigorifero. Un’America vista prudentemente dall’alto e una regia che non “vuole” mai essere nelle cose, tenendosi timidamente lontana (anche dalle emozioni…) e doppiando suo malgrado la noia provata dal protagonista. Non c’è sangue, passione, Vita in queste inquadrature e il film finisce per essere l’ennesimo compitino di un europeo in trasferta senza infamia e senza lode. Faenza tenta dalla prima scena una difficile commistione di registri (dal classico dramma di formazione adolescenziale alla commedia malinconica), ma non possiede né la surreale alterità di Wes Anderson né tantomeno la sublime levità di James L. Brooks. E allora, purtroppo, ci si trova immediatamente a rispondere di no alla domanda salingeriana iniziale: "non interessa" la storia di James. Qui c’è tutto il paradosso di una trasposizione fedele che in realtà tradisce lo spirito del libro: nel romanzo di Cameron noi lettori ci preoccupiamo delle sorti di James perché ne cogliamo il disagio nel nostro tempo; nel film di Faenza non c’è mai vera urgenza emotiva e non ci si preoccupa mai per lui, neanche quando è sul tetto in bilico tra la vita e la morte…insomma, non si inizia mai veramente a giocare nella segale.

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