FESTIVAL DI ROMA 2011 – "Too Big to Fail", di Curtis Hanson (Fuori concorso)

 Lezione invisibile su come orchestrare parola, ritmo narrativo e composizione del quadro visivo per il puro piacere di raccontare con umiltà questa fauna umana sull’orlo del baratro. C’è qui un coraggio nel raccontare i fatti senza alzare la voce, fondendo introspezione e informazione, che lascia confluire cinema e vita in una forma autenticamente personale di spettacolo contemporaneo

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too big to failProdotto dalla Hbo e  presentato fuori concorso al Festival Internazionale del Film di Roma (ma è comunque in programmazione questa sera su Sky Cinema 1) Too Big to Fail segna il ritorno dietra la macchina da presa di Curtis Hanson a pochi anni di distanza dal sottovalutato Le regole del gioco. Nel 2008 quando la Lehman Brothers, in seguito alla crisi dei mutui subprime, fu costretta a dichiarare bancarotta innescò un effetto a catena che coinvolse tutte le grandi banche americane, prefigurando una crisi economica pari alla Grande Depressione del 1929. Il film di Hanson racconta la grande paura di quei giorni, confezionando un affresco misurato e allo stesso tempo spietato sul mondo della finanza occidentale, segue fin nei minimi dettagli, quasi con perizia scientifica, le cronache di allora, cause e conseguenze del crack che nel settembre di tre anni fa rischiò di affossare l’economia statunitense ed europea – con conseguenze peraltro ancor oggi poco rasserenanti – e accumula informazioni, scene di dialogo, relazioni pessimistiche, telefonate tra banchieri, riunioni estetuanti e propaganda politica (i repubblicani da una parte e i democratici dall’altra), con una particolare sensibilità verso la componente psicologica dei protagonisti – sui quali spicca un bravissimo William Hurt – per raccontare il fallimento di questi “criminali da strapazzo” improvvisamente diventati fragili e impotenti. Too Big to Fail racconta soprattutto gli sforzi e il punto di rottura raggiunto dal Segretario al Tesoro degli USA Henry “Hank” Paulson (Hurt) e dal suo staff al fine prima di salvare (senza risultato) la Lehman Bros. e successivamente di fronteggiare la crisi del mercato con l’intervento diretto  del Governo Federale e della sua liquidità.

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Hanson, che non è mai stato un cineasta barocco, è uno di quei registi che fortunatamente credono nella pulizia di un linguaggio che non si vergogna di misurarsi semplicemente con il primo piano e il campo-controcampo. Ama il testo e sa come trattarlo cinematograficamente mantenendo uno sguardo morale. Questa sua fatica non è soltanto l’esempio di quanto sia possibile oggi fare (buon) cinema con i finanziamenti televisivi, ma soprattutto lezione invisibile su come orchestrare parola, ritmo narrativo e composizione del quadro visivo per il puro piacere di raccontare con umiltà questa fauna umana sull’orlo del baratro. C’è qui un coraggio nel raccontare i fatti senza alzare la voce, fondendo introspezione e informazione, che lascia confluire cinema e vita in una forma autenticamente personale di spettacolo contemporaneo.

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