FESTIVAL DI ROMA 2012 – "Dell'arte della guerra", di Silvia Luzi e Luca Bellino (Prospettive Italia)

Partendo dalla forte protesta di un gruppo di quattro operai della fabbrica Innse di Milano per evitare lo smantellamento del complesso e il loro relativo licenziamento, i due registi disegnano un interessante percorso muovendosi su due distinti binari:  l’etica ferrea di un documentario d’inchiesta si sposa con una tensione fortemente filmica che “ricostruisce” il reale delle testimonianze in prima persona. Un racconto, questo, che svela parecchie tensioni sotterranee nella società italiana totalmente oscure ai grandi media…

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Ragionare a distanza su un evento attraverso il cinema non è solo testimoniare, ricordare o informare. L’immagine cinematografica (anche quella di un documentario) ridiscute la Storia, la dirotta su altri territori e la guarda da prospettive parallele. È esattamente questo che si propongono i due registi di Dell’arte della guerra, Silvia Luzi e Luca Bellino, tornando su un fatto del 2009 ampiamente coperto dai media, che quindi avevano già provveduto ad informare. Il "fatto" è la forte protesta, durata 8 giorni, di un gruppo di quattro operai della fabbrica Innse di Milano per evitare lo smantellamento del complesso e il loro relativo licenziamento. I quattro salgono su un carroponte a venti metri d’altezza e si rifiutano di scendere, facendo accorrere le forze dell’ordine che presidiano una zona sempre più popolata da colleghi accorsi a sostenere i loro “rappresentanti”. Si parla subito di lotta operaia.

Torniamo al film. I due registi lavorano su un interessante doppio binario: da un lato le interviste e i materiali d’archivio; dall'altro lo sguardo straniante sul vuoto dei capannoni e persino la ricostruzione “cinematografica” dei momenti vissuti sul carroponte nel 2009. Insomma: l’etica ferrea di un documentario d’inchiesta si sposa con una tensione fortemente filmica che “ricostruisce” il reale delle testimonianze in prima persona fornite dai protagonisti. Un racconto, questo, che svela parecchie tensioni sotterranee nella società italiana totalmente oscure ai grandi media. Ecco, la cosa più convincente di questo documentario è proprio l'intenzione dichiarata di dar voce a persone che spesso non ce l’hanno; ossia di svelare in maniera paziente e completa un forte punto di vista sull'oggi. Condivisibile o meno, discutibile o meno, questo viene dopo e avviene nel privato di ogni spettatore. Ma il cinema riesce a distaccarsi dalla Tv proprio quando sottende un ragionamento che supera la mera crosta dei problemi.

I problemi allora. Parole come "coscienza operaia", "servi e padroni", "guerra costante alla miseria" e “odio sociale” scioccano se pronunciate nel 2012. Perché di solito le si relega a una stagione lontana nel tempo e nella memoria, che superficialmente si crede superata. E invece la guerra sociale esiste ancora, eccome, ma si gioca su altri terreni (come appunto i media) e non più nelle strade: un architrave intellettuale sviscerato con perizia nelle interviste ai protagonisti, che disegnano una precisa strategia di resistenza che va oltre la contingenza del fatto Innse per abbracciare l’identità operaia nel suo complesso. Questo non è un film conciliante, come i suoi protagonisti, perchè pone profondi dubbi e questioni allo spettatore. Ma è proprio questa apertura all'oltre dello schemo e della sala a renderlo un documentario riuscito e prezioso.

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