FESTIVAL DI ROMA 2012 – "Eterno ritorno: provini", di Kira Muratova (Concorso)
La Muratova si lascia andare a un estenuante gioco combinatorio, ma non per nascondersi dietro la sapienza tecnica di un esercizio, semmai per trovare, all'apice dello sforzo, la leggerezza assoluta di una magnifica verità. Quella che giunge, puntuale e fulminante, al punto di coincidenza tra la presupposta ripetizione meccanica del cinema e l'unicità necessaria della performance
Un uomo va a trovare un'amica. I due vecchi compagni di corso si ritrovano insieme improvvisamente, dopo anni…
Un uomo va a trovare un'amica…
Potremmo continuare all'infinito, perché è proprio su un'infinita ripetizione che la Muratova va avanti. Le stesse due o tre scene si susseguono senza sosta. Cambiano solo i protagonisti e gli ambienti. Un'unica situazione vissuta o meglio interpretata da più persone. Sì, interpretata: perché improvvisamente si scopre che quello a cui stiamo assistendo sono i provini voluti da un regista, purtroppo scomparso poco prima delle riprese. Con un regista morto, è ancora possibile un film?
Il loop remixato dalla Muratova sembra essere l'ennesima affermazione di un'impasse invincibile, la definizione di un tempo azzerato, avvitato su se stesso. La narrazione non prosegue, si arena e annulla nella ripetizione. E ovviamente le parole e le azioni perdono completamente qualsiasi consistenza, diventano puri movimenti meccanici incapaci di lasciare un segno sulle cose. Un altro cinema alla fine del mondo e del tempo, probabilmente, abbandonato all'evidenza della propria impossibilità. Chi altri sarà in grado di continuare le riprese, dar forma al racconto, concludere il film?
Ma se è vero che tutto è fondato sulla ripetizione, è altrettanto vero che lo sguardo della Muratova è concentrato sulle innumerevoli sfumature che ogni scena può assumere, quindi sul margine di differenza che residua al fondo di quest'apparente eterno ritorno della vita e dell'arte. Perché ogni sforzo della composizione è evidentemente rivolto alla sottolineatura delle difformità tra tutti i punti che compongono la linea del tempo, piuttosto che all'uniformità complessiva del quadro. Per la Muratova la ripetizione, ovvero l'uguaglianza, è impossibile. E l'immobile è un'astrazione utopica, una finzione ottenibile solamente da una forzatura, operando un'approssimazione per difetto che cancelli di colpo, arbitrariamente, tutte le infinite variabili di una situazione. La legge secondo cui cambiando l'ordine degli addendi il risultato non cambia, ha una validità matematica che non coincide con la mutevolezza delle cose. Non è applicabile al reale, in cui tra un addendo e l'altro si dà tutta una serie di fattori ingestibili. Il controllo assoluto è un assurdità disperata, destinata a naufragare di fronte all'evidenza informe del caos.
La Muratova si lascia andare a un estenuante gioco combinatorio, ma non per nascondersi dietro la sapienza tecnica di un esercizio, semmai per trovare, all'apice dello sforzo, la leggerezza assoluta di una magnifica verità. Quella che giunge, puntuale e fulminante, al punto di coincidenza tra la presupposta ripetizione meccanica del cinema e l'unicità necessaria della performance. Quella che riposa nello spazio oscuro tra la doppia finzione della messinscena e dell'interpretazione. Il cinema, almeno sinché guarda agli uomini e al mondo, non può essere una semplice ripresa. È uno sguardo discriminante, è una prospettiva strabica chiamata a modificare, immagine dopo immagine, la dimensione delle cose. È una macchina imperfetta, che sfugge di mano piano piano. Ed è impossibile solo nella misura in cui ambisce all'assoluta perfezione. Il cinema non è alla fine del mondo, ci dice la Muratova, al termine di un'interminabile crisi che va da Hong Sang-soo a Wakamatsu, da Kitano a de Oliveira. Il cinema è tornato all'anno zero. Ma ha riscoperto l'eccezione della vita.
Ragguardevole lavoro anche se – probabilmente – non il migliore della regista ucraina. Formidabili le prove della leggendaria Alla Demidova e della straordinaria Renata Litvinova. Affascinante la colonna sonora realizzata da Valentin Silvestrov, uno dei maggiori compositori contemporanei, stabile collaboratore di Kira Muratova