FESTIVAL DI ROMA 2012 – "Il mio film come il lavoro a maglia" – Incontro con Jacques e Lou Doillon

Jacques Doillon

Arrivano al Festival di Roma per parlare di Un enfant de toi il regista Jacques Doillon, la figlia Lou, protagonista della pellicola che ci tiene a specificare che, anche nella vita reale, chiama il padre sempre per nome, e i produttori, Mani Mortazawi e David Mathieu-Mahias. Il tempo per parlare del film non è molto, ma Doillon mette in chiaro la sua idea di cinema, richiamandosi a grandi del passato e non risparmiando critiche per nessuno.

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Jacques DoillonArrivano al Festival di Roma per parlare di Un enfant de toi il regista Jacques Doillon, la figlia Lou, protagonista della pellicola che ci tiene a specificare che, anche nella vita reale, chiama il padre sempre per nome, e i produttori, Mani Mortazawi e David Mathieu-Mahias. Il tempo per parlare del film non è molto, ma Doillon mette in chiaro la sua idea di cinema, richiamandosi a grandi del passato e non risparmiando critiche per nessuno.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

In molti dicono che sarebbe meglio non lavorare con animali e bambini. Lei invece ha trovato una bambina fantastica per il suo film, che segna il suo quarantesimo anno di carriera. Come ha lavorato con la bambina? L'ha lasciata improvvisare? E soprattutto dove l'ha trovata?

Jacques Doillon: No, non sono a favore dell'improvvisazione, è sempre tutto scritto e Olga, la bambina che interpreta Lina, si è attenuta alla sceneggiatura. Per quanto riguarda il lavoro con i bambini, se ne discute da anni. Truffaut amava mettere davanti alla macchina da presa i bambini, ma in realtà non ci lavorava. Io, invece, credo che ci si possa lavorare. I bambini, un po' come gli adulti e gli attori, chiedono di lavorare, di piacere agli altri e di dimostrarlo così. Se giocano e hanno fantasia, sono in grado di divertirsi. Dove l'ho trovata? Beh, stavamo cercando da tempo una bambina, ma quelli del casting non riuscivano a trovarla. Poi mi sono ricordato di questa bambina che, un paio di anni prima, avevo visto alla festa di compleanno a casa di Lou. Era una bambina buffa e ci avevo anche parlato. Ci ho ripensato e mi è venuto in mente di contattarla. Si è rivelata di una grandissima ricchezza interiore, divertente e poi mi mandava mail fantastiche. Lou la conosceva benissimo, quindi è stato facile lavorare con lei senza vincoli,

Il film si potrebbe definire come una sorta di complotto femminile. Ma in realtà c'è tutto un intrecciarsi di donne, uomini e bambini.

Jacques Doillon: Effettivamente si tratta di un complotto femminile, della donna con se stessa e contro di sé. Un complotto complesso e ricco. Il film è stato scritto senza un piano preciso. Cioè, avevamo una sceneggiatura, alla quale ci siamo attenuti, ma le riprese sono state libere. Come al lavoro a maglia, si tesseva mentre si riprendeva.

Lou Doillon: Lavorare con Jacques è stata un'esperienza molto allegra, un qualcosa di divino. C'è stata una vera ricerca a monte da parte degli attori. Avevamo tutti i nostri colori a disposizione, poi li abbiamo selezionati, ma senza improvvisazione. Riprendendo la metafora della maglia, è come se avessimo avuto gomitoli di tanti colori e poi li avessimo selezionati durante le riprese. Si è però sempre guidati da qualcuno, che vede tutto, ma che si tenta di stupire.

Jacques Doillon: Abbiamo lavorato con due camere. Ciò che era importante, era credere alla scena che si stava girando. Qua c'era un grande lavoro di riprese e piani. Ce n'erano tanti, si è lavorato sul ritmo. Ma nella scena c'è sempre qualcosa che si nasconde, che si rivela man mano che si va avanti con il lavoro.

Un enfant de toi

I dialoghi sembravano usciti da una piéce del teatro dell'assurdo francese. C'è un qualche legame con questo riferimento?

Jacques Doillon: Anche, ma non solo. Si tratta di una persona, la protagonista, che è squilibrata, ha perso il suo equilibrio. Però più che al teatro francese, mi ispiro ai libri francesi di adesso, quelli scritti bene e con tanti dialoghi. Il teatro non mi appassiona.

Lou Doillon: C'è qualcosa forse. Importante è però il rapporto tra persone, pieno di sfumature. Ciò che mi piace di questo film è che, come nella vita reale, è molto movimentato, ha alti e bassi. Non ci sono sentimenti estremizzati nei dialoghi, ma nella stessa scena puoi trovare venti sentimenti opposti. Attore può girovagare nei percorsi della vita.

Jacques Doillon: Più che al teatro, penso a Benjamin Costant. Nel suo diario intimo aveva assegnato dei numeri a ogni persona con cui aveva rapporti. Troviamo numeri diversi nello stesso giorno. Secondo me, è il primo che ha analizzato davvero le sfumature nei rapporti. 

I rapporti familiari sono molto importanti in questo film. Secondo lei, sono stati d'aiuto oppure no?

Jacques Doillon: Non ci sono finalità filosofiche o morali in questo film quindi è difficile rispondere. Quella dei personaggi è una realtà che non è la mia. io mi libero di tutto ciò che loro dicono e pensano e mi affido a voi.

Secondo me, si potrebbe fare un paragone con Rohmer. Ci si ritrova?

Jacques Doillon: Rohmer mi piace moltissimo e so che lui mi apprezzava e sono orgoglioso di questa cosa. Anni fa abbiamo lavorato per la stessa casa di produzione. Ci vedevamo e ci salutavamo, ma eravamo due timidi. Poi, dopo tipo tre mesi, una sera tardi mi ferma, per tre minuti, ma tre sul serio, e mi dice che gli era piaciuto il mio film. Tuttavia, secondo me, c'era una certa difficoltà nei suoi film. C'era solo uno scambio di idee e non si andava oltre. Noi che siamo venuti dopo la Nouvelle Vague, invece, abbiamo svolto un lavoro più solido con gli attori. Rohmer faceva solo tre riprese per scena e spesso usava la prima e non sempre il risultato era straordinario. Io invece faccio molte riprese e spesso uso l'ultima. Non potrei lavorare altrimenti.

Nel film, in particolare nella fine, si possono individuare delle similitudini con Truffaut, ma anche con La guerra è dichiarata della Donzelli per la ricomposizione del quadro familiare. Secondo lei, dove si potrebbe collocare all'interno del panorama del cinema francese?

Jacques Doillon: Non so dove mi colloco. Non ho molti riferimenti. Fa bene guardare tanti film nel momento della formazione, ma dopo, secondo me, bisognerebbe smettere e chiudersi quando si scrive una sceneggiatura. Bisogna lasciare che le storie escano da sole. Secondo me, esistono due tipi di cinema. Quello classico di Bergman o Kazan, ma si può riuscire a commuovere come loro? E poi c'è quello moderno, con tanta azione e nessun affetto o emozione. A me quel cinema non piace, non sarei mai in grado di farlo. Mi annoia.
 

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array