FESTIVAL DI ROMA 2012 – "Il mio film, un road movie per cinquenni", Incontro con Manuel Pradal

manuel pradal
 Con Tom le Cancre, Manuel Pradal torna a lavorare con i bambini dopo aver raccontato l’adolescenza nel bellissimo Marie della baia degli angeli. Accompagnato da Carlo Crivelli, compositore delle musiche e quasi coautore del film, e dal piccolo protagonista Mathys Soboul, Pradal racconta l’esperienza straordinaria di un set “più simile a una colonia estiva che al cinema”
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manuel pradalPoco noto in Italia, Manuel Pradal è un cineasta entrato nella storia della Femis – una delle più importanti scuole di cinema francesi – per essere stato selezionato con il suo film di diploma dal Festival di Cannes.
 
Con Tom le Cancre, arrivato nelle mani degli organizzatori del Festival a poche ore dalla chiusura della selezione, torna a lavorare con un nutrito gruppo di bambini dopo aver raccontato l’adolescenza con il bellissimo Marie della baia degli angeli, che aveva lanciato la quattordicenne Vahina Giocante.
 
 
Accompagnato da Carlo Crivelli, compositore delle musiche quasi "coautore" del film, e dal piccolo protagonista Mathys Soboul, Pradal racconta l’esperienza straordinaria di un set «più simile a una colonia estiva che al cinema»
 
 
La sua è una fiaba sull’infanzia e sul diventare adolescenti. Com’è nato il progetto?
 
 
È iniziato per caso, in seguito alla meravigliosa esperienza di alcuni laboratori per ragazzi realizzati nelle scuole. Erano dei bambini così formidabili che mi sono detto perché non continuare questo lavoro visto che avevamo così tanto materiale? Ho potuto saltare gran parte del processo produttivo e sentirmi molto più libero.
 
 
Una domanda per Carlo Crivelli: cosa la attraeva di questo lavoro?
 
 
Sono legato a Pradal da una grande amicizia e soprattutto mi sono innamorato di questi bambini, del modo in cui ha saputo filmarli. Solitamente non amo la rappresentazione dei bambini al cinema, perché li rendono sempre graziosi. Poi mi sono potuto produrre da solo, ho avuto una grande libertà.
 
Che tipo di lavoro è stato fatto con i bambini?
 
 
M.P. : È stato un lavoro complesso perché la loro capacità di concentrazione dura poco e quindi abbiamo dovuto adattarci ai loro ritmi, assecondarli. Io avevo già lavorato con dei ragazzi, ma erano adolescenti, qui ho dovuto applicare la pedagogia ai più piccini. A volte lavoravamo prima con un gruppo, poi con un altro per lasciarli riposare e far sì che non perdessero mai la loro naturalezza.
Abbiamo provinato tantissimi ragazzini. Non credo neanche che i prescelti incarnassero perfettamente la storia ma in ogni scena erano sempre sul registro recitativo. E una volta gridato “Stop” tornavano immediatamente ad essere loro stessi.
 
 
Non insistevamo sull’interpretazione perché poi tagliavamo molto in montaggio. Per me l’importante era che fossero sempre in movimento e filmarli in situazioni per loro familiari. Abbiamo lavorato sull’idea della banda, del fare gruppo. I bambini non si conoscevano prima delle riprese ma sono presto diventati amici.
È stato un set veramente impegnativo dal punto di vista organizzativo, più che cinema sembrava una colonia ma abbiamo avuto una bellissima estate.
 
 
Il suo film attraversa tutto il cinema fantastico francese sull’infanzia, da Cocteau a Démy a Jean Vigo, ma senza mai essere derivativo…
 
 
Non volevo imporre dei riferimenti cinefili. La fortuna del film è quella di essere nato in modo informale, non sapevamo neanche cosa ne sarebbe uscito fuori. Prima era un semplice film di vacanza, poi abbiamo pensato di trarne un documentario e alla fine abbiamo continuato con un lungometraggio. Mi sono sentito molto libero però dal punto di vista dell’ispirazione. Sapevo che volevo qualcosa di diverso rispetto alla consueta rappresentazione dell’infanzia al cinema, divisa fra supereroi o cartoni animati. Per cui, pur avendo i miei ricordi da cinefilo, volevo realizzare una storia originale, nutrita dei fantasmi dell’infanzia.
 
 
Riesce anche a mostrare una carica erotica aurorale dei bambini, rappresentandoli come portatori di minaccia, di desideri. Era qualcosa di programmatico o è stato casuale? Il paesaggio poi sembra tornare a un ideale renoiriano…
 
 
Questa nota di sotterranea minaccia si è venuta a creare durante le riprese. Volevo mostrare la sensualità del mondo come armonia fra corpo e scena. C’è nel film una sensualità naturale che nasce da questo ed è per tale motivo che non ho voluto drammatizzare alcuni snodi narrativi come la scomparsa della maestra.
Ho girato nel mio villaggio nel sud della Francia, un luogo paradisiaco dalla natura rigogliosa. Abbiamo iniziato a girare lì e poi ci siamo spostati nelle Ardeche, spingendoci fino in riva al mare.
In fondo è stato un road movie con dei bambini di cinque anni!
 
 
Il rapporto tra immagine e musica è strettissimo, tanto che il film sembra una partitura per immagini, una sinfonia visiva. Come vi siete rapportati l’uno all’altro?
 
 
La funzione della musica nel film era di trovare un humus sonoro che trasportasse in un altro mondo, in un tempo imprecisato. Abbiamo provato anche tante musiche che pur funzionando bene sulla singola scena non ci davano questa sensazione e abbiamo proseguito oltre finché non abbiamo trovato la giusta chiave. Volevamo trovare una sintesi di linguaggi di epoche diverse. Ci siamo concessi soltanto una citazione ironica, il Così parlò Zarathustra di Strauss da 2001 Odissea nello spazio di Kubrick.
 
Il titolo Tom le cancre – che in italiano sarebbe “il somaro” – cita la poesia di Jacques Prévert…
 
 
Sì, press’a poco è il somaro, l’ultimo della classe. Ma nel termine francese c’è qualcosa di più simpatico. "Le cancre" è il bambino a cui la scuola non riconosce il valore della sua creatività, ma è quello che fa ridere tutti, che trascina gli animi.
 
 
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    Un commento

    • Le film "Tom le cancre" n'est pas un atelier pédagogique. J'en témoigne comme père et photographe de plateau. Il a été produit par N°7 (Éric Langlois) et réalisé au mépris des lois selon une des deux spécialiste des enfants (spectacle) en France à l'inspection du Travail. Il y avait un script, les enfants ont été utilisés, ils ont beaucoup travaillé, ce qui a occasionné des conflits avec des parents (dont moi) durant le tournage. Comme père je me suis opposé à l'utilisation de l'image de mon enfant, la plus jeune actrice du film, opposition méprisée à plusieurs reprises. L'envers du décor tourne au drame familial : je suis privé du quotidien avec mon enfant et de l'exercice de l'autorité parentale. Est-ce l'œuvre de la mafia d'un certain cinéma (appel au bénévolat pour une entreprise à but lucratif, dissimulation de travail non-déclaré, absence d'autorisations et de dérogations pour le travail des enfants)? Plus d'informations i …