FESTIVAL DI ROMA 2012 – "Sono entrato nel mio giardino", di Avi Mograbi (CineMAXXI)

Sono entrato nel mio giardino

Quello di Mograbi è un viaggio alla riscoperta di luoghi da tempo dimenticati o conosciuti soltanto attraverso i racconti dei propri genitori e nonni, un legame con la propria terra che si fa problematico nel momento del confronto quotidiano con l’altro, quello che abita quegli stessi luoghi, ma con una storia diversa alle spalle. Sono entrato nel mio giardino significa ritrovare se stessi attraverso la propria cultura e le proprie origini, in un ritratto sincero e appassionato di un luogo.

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Sono entrato nel mio giardinoIl dialogo che nasce dall’incontro di due culture diverse, vicinissime spazialmente, ma lontane ideologicamente, alla riscoperta delle proprie origini e delle radici comuni proprio in quegli stessi luoghi che a lungo tempo hanno ospitato popolazioni diverse in una coesistenza senza confini di sorta. Avi Mograbi, documentarista israeliano, parte da un sogno, forse un desiderio inconscio che si manifesta sotto forma di materiale onirico, nel quale incontra suo nonno Ibrahim fuori dalla loro casa di Damasco, dove un tempo i suoi vivevano prima del trasferimento a Tel Aviv. Spinto da questo sogno, Mograbi interpella il suo maestro di arabo, Ali Al-Azhari, per accompagnarlo in un breve viaggio on the road che lo ricondurrà nei luoghi delle loro origini.

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Quello di Mograbi è un viaggio alla riscoperta di luoghi da tempo dimenticati o conosciuti soltanto attraverso i racconti dei propri genitori e nonni, un legame con la propria terra che si fa problematico nel momento del confronto quotidiano con l’altro, quello che abita quegli stessi luoghi, ma con una storia diversa alle spalle. L’interazione dai toni quotidiani e familiari tra Avi e Ali, seguita da vicino da una macchina da presa spesso presente nell’inquadratura, essa stessa un’altra interlocutrice grazie all’operatore, rappresenta l’intelaiatura di questo racconto, un punto fisso necessario per presentare la realtà e potersi poi lasciare andare a momenti più fortemente emozionali (ed emozionanti) durante il loro percorso. Il rapporto tra i due presenta con oggettività che cosa significa essere israeliani o palestinesi al giorno d’oggi, quali sono le differenze che ancora li dividono e quali i punti in comune, elemento che emerge soprattutto grazie alla presenza di Yasmin, la figlia di Ali, voce della verità grazie alla sua giovane età.

Tuttavia, non si tratta solo di una viaggio da un punto di vista spaziale, uno spostamento da un luogo all’altro, bensì di un viaggio nella memoria, nel tempo, verso una realtà diversa, quella della Palestina non divisa prima del 1948. Il ritorno di Ali nel luogo dove un tempo sorgeva la sua casa, vicino a Nazareth, significa ricostruire quell’ambiente con la mente, tornare ai propri ricordi di bambino, laddove ora c’è solo un giardino pubblico. Ma soprattutto, questo viaggio nella memoria avviene attraverso una serie di vecchi Super 8, found footage familiare, che narrano una storia d’amore antica, divisa dai confini costruiti dall’uomo, una sorta di racconto altro, parallelo, ma fondativo al tempo stesso. Sono entrato nel mio giardino significa ritrovare se stessi attraverso la propria cultura e le proprie origini, in un ritratto sincero e appassionato di un luogo.

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