FESTIVAL DI ROMA 2012 – "Tom le Cancre", di Manuel Pradal (Fuori Concorso)

Tom le cancre
Per quanto sia ammirevole il tentativo di Pradal di rifondare un genere come il film per ragazzi che in Francia ha avuto rappresentanti eccellenti da Vigo a Cocteau, senza appiattirsi sulla citazione dei maestri, l’esito è inferiore alle premesse. Il racconto fantastico assembla troppe suggestioni, dall'archetipo fiabesco al road movie in miniatura, mentre la cosa migliore sono le immagini quasi rubate dei volti dei bambini, le loro espressioni genuine di stupore o divertimento

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tom le cancre di manuel pradalUn laboratorio scolastico, un filmino delle vacanze, un cortometraggio e infine un lungometraggio: nasce così, da un work in progress, Tom le cancre, nuovo film di Manuel Pradal, autore che si era imposto nel 1997 con Marie della baia degli angeli, ritratto di un’adolescenza inquieta e sensuale incarnata dalla giovanissima eppure già conturbante Vahina Giocante.

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Si fa però un po’ fatica a rintracciare quello stesso sguardo in Tom le cancre, che mantiene sì l’affetto verso “gli ultimi”, verso i somari, verso il cancre della poesia di Prévert, modello primario per tutti i protagonisti di Pradal, ma non sembra in grado di tenere le fila di un materiale che accumula troppi spunti e troppe traiettorie perdendo forza lungo il cammino.
 

Il canovaccio è quello di una fiaba classica con i bambini smarriti nel bosco perché la loro maestra ha mangiato una bacca velenosa lasciandoli così soli a cercare la strada di casa, finché non si imbattono in un ragazzo selvaggio, Tom le Cancre, il somaro in fuga dal villaggio che promette di riportarli dai loro genitori, ma solo una volta disimparate le regole del vivere civile, dal lavarsi al mangiare composti. E il viaggio avventuroso si arricchisce via via di insidie: il buio, un lupo cattivo dalle fattezze umane – che ricorda certi villain del Pinocchio di Comencini – perché diventare grandi, si sa, non è altro che una serie infinite di prove.

 

Diventa chiaro già dal plot come Pradal assembli nel suo racconto fantastico numerose suggestioni, probabilmente troppe per un unico film: all’archetipo fiabesco già di per sé molto nutrito con il bosco, il lupo, il buio e tutta una serie di paure ataviche proprie dell’infanzia si somma infatti l’anarchia ribelle di un nuovo Huckleberry Finn, la filosofia del “retourner à marcher à quatre pattes” di Jean Jacques Rousseau – modello pedagogico imprescindibile del film – la sinfonia alla Pierino e il lupo, su cui lavora parallelamente la colonna sonora di Carlo Crivelli, più una rivisitazione di certe pellicole d’avventura per ragazzi che affiora nella seconda parte, quando la fiaba cede il posto a un road movie in miniatura.

 

Per quanto sia ammirevole il tentativo di Pradal di rifondare un genere come il film per ragazzi che in Francia ha avuto rappresentanti eccellenti da Vigo a Cocteau, e per quanto gli si riconosca il pregio di trovare una via personale, non appiattita sulla citazione dei maestri, l’esito è purtroppo inferiore alle premesse.
Se da una parte infatti è affascinante la libertà con cui sono ripresi i piccoli protagonisti, soprattutto per la freschezza che trapela dalle scene improvvisate, con i tagli di montaggio che procedono per piccoli frammenti, il film sembra perdere forza nel momento in cui tenta di dare una struttura narrativa a un materiale che si pone tra la finzione e il documentario. La cosa migliore restano allora le immagini quasi rubate dei volti dei bambini, le espressioni genuine di stupore o divertimento, colte al di là della sceneggiatura.

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