FESTIVAL DI ROMA 2013 – Acrid, di Kiarash Asadizadeh (Concorso)

acrid
Nello scenario spento dalla cinerea solitudine in cui si muovono i suoi personaggi, Acrid compie il suo girotondo intorno al fallimento dell’universo a due, scivolando da una storia all’altra per poi tornare al punto di partenza, come se il collasso della coppia fosse l’unico scenario possibile dell’amore, destinato per sempre a ripetere la sua terribile

 

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acridE’ un percorso perfettamente circolare quello che l’iraniano Kiarash Asadizadeh, al suo primo lungometraggio, compie intorno alla coppia come cellula disfunzionale, che diventa unicamente un’unione priva di senso e svuota l’orizzonte di ogni speranza. Con una cupezza spessa e dura che, desaturando i colori della fotografia, disegna uno scenario spento dalla cinerea solitudine in cui si muovono i personaggi che lo abitano, Acrid compie il suo girotondo intorno al fallimento dell’universo a due, scivolando da una storia all’altra per poi tornare al punto di partenza, come se il collasso della coppia, divenuto un corpo smembrato che, senza più gambe per camminare, si trascina faticosamente nel suo dolore, fosse l’unico scenario possibile dell’amore, destinato per sempre a ripetere la sua terribile disfatta.

In una concatenzione che, troppo compiaciuta del suo rigoroso meccanismo, rincorre affannosamente le emozioni, senza poi riuscire veramente a raggiungerle, Soheila e Jalal sono una coppia di mezza età, senza più parole da dirsi, se non il disprezzo reciproco del loro sguardo. Quello che rimane tra loro è solo lo spazio del silenzio, che li rende sempre più distanti, con Soheila che volta le spalle alla macchina da presa, ormai troppo stanca per liberare i fantasmi che le hanno indurito il cuore. Azar, la segretaria di Jalal, si porta addosso tutta l’infelicità del fallimento del suo matrimonio “per necessità” e, con i suoi occhi cerchiati e spenti, rimane a guardare il nulla che la soffoca, mentre la sua famiglia va violentemente in pezzi e suo marito cerca di nuovo speranza in un altro amore. L’amore di Simin, donna forte e indipendente, che lotta per riuscire a dimenticare la storia di violenza domestica che si trova proprio dietro alle sue spalle. Una delle studentesse di Simin è Mahsa che, dopo aver visto il suo sogno infrangersi fragorosamente sulla menzogna raccontata dall’amore, fa ritorno a casa, dai suoi genitori, Soheila e Jalal.

Pur riuscendo a trovare un perfetto equilibrio nella sua dolorante e clautrofobica giostra senza fine di affetti che la vita ha mandato in decomposizione, quello che manca ad Acrid è proprio la capacità di perdersi in un cortocircuito, di superare, insomma, la compiutezza funzionale della sua scrittura a tesi. E, dunque, in questo suo trattato sul logoramento e i mali inflitti dall’amore, Kiarash Asadizadeh non riesce a liberare fino in fondo lo smarrimento degli universi privati che s’incrociano nel film e a farci perdere veramente nella solitudine di quei volti prigionieri di uno spazio che, con la sua assenza di profondità, sembra negar loro ogni possibilità di movimento.
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