FESTIVAL DI ROMA 2013 – CinemaXXI


"Intendevamo privilegiare i modelli che rifiutano di appartenere a questo o a quel campo estetico, dal “documento” alla “fiction” alla “ricerca” e ritorno"
spiega il direttore Marco Müller ai giornalisti introducendo la seconda edizione della "sezione distaccata" negli spazi del Museo delle Arti del XXI Secolo. Bello sentire ancora quel termine presentando un Festival: ricerca. IL PROGRAMMA COMPLETO

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CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

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E' così che la chiama il direttore Marco Müller presentando il programma della seconda edizione della “sezione distaccata” del Festival di Roma negli spazi del Museo delle Arti del XXI Secolo. Schizofrenia controllata. Ovvero come “moltiplicare la fluidità degli spazi per un festival metropolitano di cinema espanso”, che possa dunque perdersi nel labirinto sinuoso e intrecciato degli androni progettati da Zaha Hadid, giusta e effettiva visualizzazione della moltitudine di spunti, riferimenti, intuizioni e pensieri rivolti alla contemporaneità da cui si origina e il calendario della sezione, e il ragionamento di Müller “spiegato” ai giornalisti: “C’è voluta una serie ininterrotta di intrusioni, ma alla fine è successo davvero. Le nuove prassi – e in primo luogo quelle del cinema e dell’oltre-il-cinema – sono riuscite a scardinare la serratura dello spazio privilegiato delle arti visive. Le definizioni correnti di stile, talento, mestiere, autenticità, unicità, originalità, autore, sono di colpo divenute fuori corso (la loro caducità è stata lampante). Hanno finito per perdere autorevolezza anche valori che, quando sopravvivono in seno al mercato, finanziario e retorico, delle arti, possono farlo solo in quanto tributari di un gesto molto più decisivo (quello, appunto, del “cinema”). È stato dunque necessario rifondare, a partire da queste trasformazioni, i criteri di giudizio estetico.”

Questa la volontà, il punto di partenza: rifondare i criteri di giudizio estetico. E da qui la giuria di “personalità fratte e contraddittorie”, come le ha chiamate sempre il direttore: Larry Clark, Ashim Ahluwalia, Yuri Ancarani, Laila Pakalnina, Michael Wahrmann.
Davanti a noi e a loro una selezione che, tra concorso e fuoriconcorso, lunghi e corti, tiene insieme sperimentatori della scena italiana (Elisabetta Sgarbi, Enzo Cei, Vincenzo Marra, addirittura un lavoro codiretto da Marco Martins e Michelangelo Pistoletto), vecchie conoscenze delle programmazioni di Müller (Andrey Silvestrov e Yury Leiderman, Amir Dutta), campioni dell'arte contemporanea (aggettivo visto nella sua accezione più lontana dal facile sinonimo di “attuale”) esondati al cinema (Zimmerfrei, MyBossWas, Roee Rosen…), e le importanti presenze di grandi maestri come Joaquim Pinto, Kiyoshi Kurosawa, Alexandre Rockwell, l'imperdibile masterclass di Jonathan Demme, forse l'artista più cinemaXXI tra tutti i coinvolti, il premio Oscar hollywoodiano che nonostante il proprio blasone e il proprio medagliere continua a “negarsi alla denominazione d'origine controllata”.

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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“Se abbiamo fatto appello ai registi che sperimentano quanto i linguaggi della cultura visiva contemporanea possono offrire”, conclude allora Müller, “non è stato perché ci interessava il seguito delle avventure di un cinema “sperimentale”, arroccato in difesa delle sue prerogative di continuatore di una storia dell’arte moderna da considerare intatta (come se fosse una sola storia morfologica). Intendevamo, invece, privilegiare i modelli che rifiutano di appartenere a questo o a quel campo estetico, quelli che sanno passare dall’uno all’altro, dal “documento” alla “fiction” alla “ricerca” e ritorno.” 
Bello sentire ancora quel termine presentando un Festival: ricerca. 

IL PROGRAMMA COMPLETO DI CINEMAXXI 2013

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    E' così che la chiama il direttore Marco Müller presentando il programma della seconda edizione della “sezione distaccata” del Festival di Roma negli spazi del Museo delle Arti del XXI Secolo. Schizofrenia controllata. Ovvero come “moltiplicare la fluidità degli spazi per un festival metropolitano di cinema espanso”, che possa dunque perdersi nel labirinto sinuoso e intrecciato degli androni progettati da Zaha Hadid, giusta e effettiva visualizzazione della moltitudine di spunti, riferimenti, intuizioni e pensieri rivolti alla contemporaneità da cui si origina e il calendario della sezione, e il ragionamento di Müller “spiegato” ai giornalisti: “C’è voluta una serie ininterrotta di intrusioni, ma alla fine è successo davvero. Le nuove prassi – e in primo luogo quelle del cinema e dell’oltre-il-cinema – sono riuscite a scardinare la serratura dello spazio privilegiato delle arti visive. Le definizioni correnti di stile, talento, mestiere, autenticità, unicità, originalità, autore, sono di colpo divenute fuori corso (la loro caducità è stata lampante). Hanno finito per perdere autorevolezza anche valori che, quando sopravvivono in seno al mercato, finanziario e retorico, delle arti, possono farlo solo in quanto tributari di un gesto molto più decisivo (quello, appunto, del “cinema”). È stato dunque necessario rifondare, a partire da queste trasformazioni, i criteri di giudizio estetico.”

    Questa la volontà, il punto di partenza: rifondare i criteri di giudizio estetico. E da qui la giuria di “personalità fratte e contraddittorie”, come le ha chiamate sempre il direttore: Larry Clark, Ashim Ahluwalia, Yuri Ancarani, Laila Pakalnina, Michael Wahrmann.
    Davanti a noi e a loro una selezione che, tra concorso e fuoriconcorso, lunghi e corti, tiene insieme sperimentatori della scena italiana (Elisabetta Sgarbi, Enzo Cei, Vincenzo Marra, addirittura un lavoro codiretto da Marco Martins e Michelangelo Pistoletto), vecchie conoscenze delle programmazioni di Müller (Andrey Silvestrov e Yury Leiderman, Amir Dutta), campioni dell'arte contemporanea (aggettivo visto nella sua accezione più lontana dal facile sinonimo di “attuale”) esondati al cinema (Zimmerfrei, MyBossWas, Roee Rosen…), e le importanti presenze di grandi maestri come Joaquim Pinto, Kiyoshi Kurosawa, Alexandre Rockwell, l'imperdibile masterclass di Jonathan Demme, forse l'artista più cinemaXXI tra tutti i coinvolti, il premio Oscar hollywoodiano che nonostante il proprio blasone e il proprio medagliere continua a “negarsi alla denominazione d'origine controllata”.

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    “Se abbiamo fatto appello ai registi che sperimentano quanto i linguaggi della cultura visiva contemporanea possono offrire”, conclude allora Müller, “non è stato perché ci interessava il seguito delle avventure di un cinema “sperimentale”, arroccato in difesa delle sue prerogative di continuatore di una storia dell’arte moderna da considerare intatta (come se fosse una sola storia morfologica). Intendevamo, invece, privilegiare i modelli che rifiutano di appartenere a questo o a quel campo estetico, quelli che sanno passare dall’uno all’altro, dal “documento” alla “fiction” alla “ricerca” e ritorno.” 
    Bello sentire ancora quel termine presentando un Festival: ricerca. 

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