FESTIVAL DI ROMA 2013 – Incontro con Kurosawa Kiyoshi


Il maestro giapponese è all'Auditorium per presentare Seventh Code, in concorso, e Beautiful New Bay Area Project, cortometraggio incluso nella sezione Cinemaxxi. La definizione di cineasta dell'orrore gli va stretta, e dunque via a questo omaggio ai tanto amati film di spionaggio della Hollywood classica, frullati in un'opera su commissione per i fan della popstar protagonista, Atsuko Maeda

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L'incontro con Kurosawa Kiyoshi, incentrato unicamente sul film che il maestro giapponese porta in concorso, Seventh Code (il cineasta ha anche un cortometraggio nella selezione di Cinemaxxi, Beautiful New Bay Area Project), conferma l'incorreggibile allergia degli autori nipponici nei confronti delle domande teoriche, delle osservazioni astratte. Ad esempio, invitato a rispondere su quale idea di destino veicolasse il finale del proprio film, Kurosawa risponde che non vi era alcun tentativo di dare un messaggio del genere, ma era soltanto "alla ricerca del giusto finale disperato come quelli della Hollywood classica, o dei film Nouvelle Vague…".

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In effetti questi riferimenti si fanno sempre più evidenti nel suo cinema col procedere dei film…

Kurosawa: a me non interessano solo i film dell'orrore ai quali vengo spesso ricondotto, ma amo soprattutto i film di spionaggio e d'azione della vecchia Hollywood, e credo che anche i registi francesi della Nouvelle Vague si rifacessero a questi modelli, aggiungendoci un po' d'amore in più. Perciò questo stile è in qualche modo inconsapevole in me, inconscio: ho sempre tentato di rifare quel cinema ma nel nostro Giappone, e chiaramente nel processo di importazione bisognava modificare qualcosa, fare degli aggiustamenti e dei cambiamenti. 

Anche l'ambientazione in Russia è un omaggio ai vecchi film di spie?

Kurosawa: lì il tenativo era soprattutto quello di calare la protagonista, la star del pop giapponese Atsuko Maeda, in un'ambientazione del tutto nuova e inedita per lei, personaggio di cui tutti sottolineano la versatilità: e allora l'ho sfidata chiedendole di interpretare delle coreografie di arti marziali, e di impersonare questa donna spietata che nonostante l'apparenza mansueta alla fine dei giochi l'ha sempre vinta sugli uomini. Ecco, questo è un aspetto che ho preso sempre dai classici hollywoodiani. 

Il suo cinema continua ad alleggerirsi, anche le durate si fanno più stringate, il gesto filmico sempre più spontaneo

Kurosawa: questo è un film su commissione pensato per i fan di Atsuko Maeda, dunque doveva essere semplice, il più semplice possibile. Viviamo in un mondo talmente complesso che i film semplici come una volta non si riescono più a fare, quei film brevi e soddisfacenti da doppio spettacolo uno di fila all'altro. La mia ambizione è infatti quella di riuscire a girare un film stringato di quelli da doppia proiezione, ma che da solo possa valere per due. Forse da questo deriva anche la schizofrenia dei generi che innerva Seventh Code.

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