FESTIVAL DI ROMA 2013 – Juliette, di Pierre Godeau (Alice nella città)

juliette di pierre godeau
Con la frescehezza di uno sguardo disincantanto e compiaciutamente irrisoluto, Juliette è la rappresentante ideale di quella Francia giovane, carina e disoccupata. Un degno controcampo femminile a Oh boy di Gersterm da parte del giovane regista Pierre Godeau

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juliette di pierre godeauLa giovane parigina Juliette (Astrid Bergès-Frisbey) ha venticinque anni, è fresca di laurea, priva di un’occupazione e della volontà di cercarsene una, conduce una vita sentimentale libera e disinibita, infilandosi a suo piacimento all’interno di relazioni altrui e prendendosi anche un po’ gioco con scanzonata leggerezza del suo nutrito numero di ammiratori, probabilmente attratti proprio da questa vena di costante volubilità amorosa che li condanna a dipendere dalle inclinazioni passeggere della ragazza.
Il padre malato si direbbe l’unico saldo punto di riferimento attorno a cui ruota un’esistenza volutamente priva di parametri di riferimento, progetti e abitudini. Letteralmente un sogno, realizzato fra le pagine del libro che sta scrivendo –forse l’unica occupazione più o meno pratica a cui sembra dedicarsi Juliette- o semplicemente vissuta a occhi aperti.
Interessante è lo spunto di riflessione sul volto di questa Francia giovane, che comincia a sentire sempre più forti i problemi legati alla mancanza di impiego. Juliette fondamentalmente è a un bivio della sua esistenza (come forse si trovano molti suoi coetanei nella realtà, in questa Europa semi-disoccupata), tra la fuga da quello che percepisce come un pericolosissimo campo della sua esistenza, quello delle responsabilità, e l’assumersi il rischio della scelta, di qualsiasi natura questa possa essere. Per diventare finalmente adulta. Che si tratti di far abbandonare la forma del diario adolescenziale alla storia che sta scrivendo da diversi anni e correre il rischio di mettersi in gioco pubblicandola sottoforma di romanzo, oppure mostrare chiaramente all’uomo di cui è (ancora) innamorata i sentimenti che nutra nei suoi confronti.
Più che concentrarsi sulla realtà, l’intento si direbbe quello di focalizzarsi su un compiaciuto divertissment, quel continuo distogliere l’attenzione e allentare (o riaccendere) la tensione narrativa estemporaneamente, senza quasi rendersene conto. Oscillare fra la realtà ipotizzata e il dato concreto, comunque tratteggiato con le stesse tinte fiabesche del sogno. Perché, per quanto Juliette miri a realizzare qualcosa di tangibile nella propria esistenza –e quindi forse fuggire quella dimensione che è pura e per molti versi comoda fantasticheria- in fin dei conti, anche la non scelta è una presa di posizione. O quantomeno una cifra di stile.

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