FESTIVAL DI ROMA 2013 – Quod Erat Demonstrandum, di Andrei Gruzsniczki (Concorso)

Andrei Gruzsniczki adotta uno stile registico freddo e implacabile, confinato in un bianco/nero livido e poco contrastato: come un teorema messo intelligentemente in dubbio da un’intera dimensione lasciata (latente) in fuori campo. I sentimenti. Perché il cinema non è matematica: è e deve rimanere un occhio errante

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Come volevasi dimostrare. Il cinema rumeno sta attraversando una fase di fiorente ricchezza creativa e, come in altri i Paesi “fuoriusciti” da una lunga e complessa fase storica, sta facendo i conti con il proprio recente passato. Il cinema serve (anc)ora pertanto. Questo secondo lungometraggio di Andrei Gruzsniczki si concentra sull’ultimo periodo della dittatura di Nicolae Ceausescu, sulla famigerata Securitate (parente stretta della Stasi tedesca) che aveva il compito di controllare e smascherare eventuali attività sovversive stroncandole sul nascere. Esattamente come l’attività ordinariamente sovversiva di un giovane matematico che studia le teorie di Fourier (fisico che partecipò alla rivoluzione francese…) e ha il desiderio di pubblicare le sue conclusioni, allargare i suoi studi, trovare nuove strade perché la “matematica non ha frontiere”. Non gli verrà ovviamente concesso, perché “ha una visione” e potrebbe essere pericolosa: lo soprannomineranno, non a caso, l’errante. Si intrecceranno pertanto i sotterranei rapporti personali con una vecchia amica (di cui probabilmente è innamorato) e con il tormentato investigatore che sta indagando sul suo caso. Intrecci, in silenzio.

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Quod Erat Demonstrandum adotta uno stile registico freddo e implacabile, confinato in un bianco/nero livido e poco contrastato: come un teorema messo costantemente in dubbio da un’intera dimensione lasciata in fuori campo. Quell’universo dei sentimenti costretto a ritirarsi, nascondersi, rimanere latente come un vulcano sempre pronto ad eruttare passione. Qui si arriva sempre sul punto di esplodere fermandosi un attimo prima, lasciando allo spettatore il compito di colmare quei vuoti. Un film certo eccessivamente ambizioso, che forse non ha la necessaria consapevolezza per far “vivere” quei fantasmi che vuole evocare (come nel magnifico cinema del connazionale Christian Mungiu), ma che semina comunque fertili dubbi etici ed estetici e mira meritoriamente a rendere “complesso” il panorama socio/culturale che inquadra. Non cercando mai di semplificare i fenomeni o i caratteri (e il personaggio dell’investigatore è paradigmatico di un intelligente approccio alla delicata materia trattata) lasciando irrisolto ogni chiaroscuro. Perché il cinema non è matematica: è e deve rimanere un occhio errante.

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