FESTIVAL DI ROMA 2013 – Stalingrad 3D, di Fedor Bondarchuk (Fuori Concorso)

stalingrad 3D
Bondarchuk promuove un'idea di cinema ostinatamente bigger than life, le prova tutte per "provare a infrangere il muro tra gli spettatori e il film", con uso spettacolare del 3D (primo film russo interamente prodotto con questa tecnica) e degli effetti digitali. Ha un buon senso dello spettacolo, ma, non sorretto da una sceneggiatura fluida e sfumata, impantana l'opera in una esibizione muscolare statica, ripetitiva

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stalingrad 3DChissà cosa penserebbe Sergio Leone – che per anni inseguì l'idea di realizzare un monumentale kolossal sulla battaglia di Stalingrado – di questo costosissimo war-movie diretto dal figlio d'arte Fedor Bondarchuk made in Russia (ma il film gode di distribuzione americana targata Columbia Pictures). Di certo Bondarchuk poco ha a che fare stilisticamente con i ritmi dilatati e a tratti contemplativi del cineasta italiano. Qui tanto per fare un esempio non c'è alcuna differenza etica e rappresentativa tra il girare una scena d'amore e una scena sul campo di battaglia: in entrambi i casi infatti ci si aggrappa alle suggestione dei rallenti e di una musica (di Angelo Badalamenti!) ridondante e onnipresente in tutti i 135'.

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Nel novembre del 1942 sulle rive del Volga la battaglia tra esercito russo e tedesco è alle strette. La città distrutta, i cittadini falcidiati da fame e terrore. La casa della giovane russa Katya diventa una sorta di ultimo avamposto simbolico per la patria, il baluardo finale  tra la vittoria e la sconfitta. Oltre quella casa c'è il fiume e la possibilità da parte dei tedeschi di proseguire l'avanzata in Unione Sovietica e raggiungere il folle obiettivo del Fuhrer: arrivare in India. In quella casa cinque soldati russi accudiscono la giovane connazionale combattendo fino alle stremo delle forze il nemico. Dall'altra parte del campo di battaglia l'ufficiale Kahn – innamorato della prostituta Mascia –  ha l'ordine di conquistare la casa.

Stalingrad 3D spara cannonate lungo tutto il tragitto, promuove un'idea di cinema talmente e ostinatamente bigger than life da abbandonare preziose letture politiche, teoriche.  Bondarchuk le prova tutte per "provare a infrangere il muro tra gli spettatori e il film", con uso spettacolare del 3D (primo film russo interamente prodotto con questa tecnica) e degli effetti digitali. Ha un buon senso dello spettacolo, ma, non sorretto da una sceneggiatura fluida e sfumata, impantana l'opera in una esibizione muscolare statica, ripetitiva. Come i protagonisti del film anche gli spettatori rimangono intrappolati in queste schermaglie a distanza tra russi e tedeschi. Difficilmente vedendo Stalingrad si prova empatia per i suoi eroi patrioti e dopo non molto si comincia a rimpiangere il Jean-Jacques Annaud de Il nemico alle porte. Non il massimo della vita.

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