FESTIVAL DI ROMA 2013 – Volantin Cortao, di Diego Ayala e Anibal Jofré (Concorso)
E' un cinema forse ancora acerbo ma che ci piace amare quello tracciato dai giovani cileni Ayala e Jofré, fatto di linee d'ombra, pedinamenti, introspezioni, improvvise accelerazioni pulsionali per raccontare le molteplici ambigue erranze che frammentano il passaggio dall'adolescenza all'età adulta. Ma è soprattutto un film sulla difficoltà di essere figli nel Cile contemporaneo postdittatoriale
Nato da un progetto universitario da tempo covato dai due giovani cineasti Diego Ayala e Anibal Jofré, qui al loro secondo lungometraggio, Volantin Cortao a differenza di molte opere cilene realizzate negli ultimi anni, su tutte la potentissima trilogia di Pablo Larrain (Tony Manero, Post Mortem, No I giorni dell'abbandono) non racconta il Cile dilaniato dalla dittatura di Pinochet, bensì quello dei giorni nostri, apparentemente ricostruito nel segno della democrazia ma ugualmente diviso al suo interno da conflitti sociali, generazionali, da una separazione netta tra alta borghesia e classi povere, quartieri alti e borghi periferici. La Santiago del Cile raccontata da Ayala e Jofré parla metaforicamente (ma neanche troppo) di questo confine. Si inserisce in questa linea di demarcazione contestualizzandola in quella più sfumata dell'età di passaggio. La loro macchina da presa si incunea costantemente tra vicoli di quartiere senza uscita, case proletarie dove i cittadini vivono nell'illegalità, nella guerra contro i poliziotti e, per contrasto, ville arredate con salotti e divani eleganti, coppe di bronzo e di cristallo su cui poter versare le bottiglie di vino migliore.
Su questo panorama metropolitano e classista si intersecano i destini di due giovani cileni: la ventunenne Claudia e il sedicenne Manuel. Volantin Cortao è un film su di loro, sui figli delle democrazia cilena, o più ancora sulla difficoltà di essere figli nel Cile contemporaneo. Claudia sta facendo un tirocinio come assistente sociale presso un centro di recupero per minorenni. Qui incontra Manuel, un ladruncolo abbandonato dai genitori. Tra i due nasce un'amicizia profonda, presto ostacolata dal centro di recupero, che porta i due ragazzi a scoprire nuove sfumature, anche oscure e autodistruttive, della propria personalità e del rapporto col mondo.
E' un cinema che ci piace amare quello tracciato da Ayala e Jofré, fatto di linee d'ombra, pedinamenti, introspezioni, improvvise accelerazioni pulsionali per raccontare ancora una volta le molteplici, ambigue erranze che frammentano il passaggio dall'adolescenza all'età adulta. Senza troppo preoccuparsi di rimanere a distanza di sicurezza dai loro personaggi, i giovani registi cileni inseguono le emozioni trattenute ma luminose dei due interpreti, delinenado passo passo una storia sentimentale d'amicizia complessa, dove i rapporti etici e di forza iniziali finiscono con il mescolarsi, scambiarsi di ruolo, fondersi l'uno con l'atro dentro l'astratto dolore della giovinezza e della maturazione. Un film piccolo ma prezioso, che attraverso il flusso di volti, corpi e macchine da presa sembra prendere ispirazione da certe opere dei fratelli Dardenne e Olivier Assayas. E pur proseguendo un'indagine realista segna una nuova possibile prospettiva rispetto alla "denuncia storica" del recente cinema cileno.